venerdì, 12 settembre 2025
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Libia: l’inferno dall’altra parte del mare

Intervista all’attivista Asma Khalifa, tra ragion di Stato, accordi sui migranti e diritti violati

A 14 anni dalle rivolte arabe e dalla guerra di Libia che portò alla caduta del colonnello Gheddafi nell’ottobre 2021, a far battere qualche agenzia è ancora la guerra civile in corso nell’ex colonia italiana e le convulse relazioni con il nostro Governo.

Per capire cosa sta succedendo in terra di Libia abbiamo intervistato Asma Khalifa, 34 anni, attivista libica per i diritti delle donne e la pace, di origini berbere, attualmente ricercatrice al Royal Institute of International Affairs (Centro studi britannico) di Londra. Khalifa ha fondato Tamazight women movement, una campagna che si batte per i diritti delle donne berbere e la parità di genere in Libia.

La Libia è un Paese considerato sicuro dall’Europa, e quindi in grado di accogliere migranti...

La Libia non è un Paese sicuro. Sono ampiamente documentate violazioni sistematiche di convenzioni internazionali sull’asilo e sul rispetto dei diritti umani di migranti e rifugiati, in un ciclo di violenze spesso senza fine, in cui vengono fatti passare da un intermediario all’altro. Non mancano rapporti che descrivano in dettaglio l’estrema violenza, i trattamenti degradanti e le condizioni disumane che sono costretti a sopportare non appena entrano nel Paese. Eppure, esistono accordi con Paesi europei per trattenere i migranti. Si deve ricordare che tutto ciò non è un’eccezione. Negli ultimi anni l’Afghanistan, dopo che gli Stati occidentali hanno restituito il Paese ai talebani, viene classificato come “sicuro”, e diversi Paesi hanno proceduto ai rimpatri.

Quanto è importante il traffico di migranti e la detenzione per l’economia formale e informale della Libia?

È sempre stato un problema, anche prima del 2011. Gheddafi è stato in grado di usarlo frequentemente. In modo formale, il Governo di unità nazionale - riconosciuto dalle Nazioni Unite, ndr - può ricevere imbarcazioni della guardia costiera e addestramento, quindi il vantaggio riguarda il rafforzamento delle capacità e, naturalmente, gli investimenti nel Governo per rimanere al potere. Tutto questo rappresenta, però, uno dei nodi importanti del problema per cui abbiamo due Governi. Per l’economia informale, i gruppi armati sono in grado di finanziare e continuare a far crescere il loro personale e la loro potenza militare da tutto il portafoglio illegale, che include anche il contrabbando di petrolio, lo sfruttamento dei prigionieri nei centri di detenzione, il mercato nero della valuta, il lavoro schiavistico di migranti e rifugiati, il traffico di esseri umani.

Dopo la recente “gaffe” della diplomazia europea a Bengasi, ci si chiede quale sia l’equilibrio di potere in Libia e il peso delle potenze straniere dietro al generale Haftar, che controlla la parte orientale del Paese, la Cirenaica.

Credo che dal 2020, dopo il fallito tentativo di Haftar di invadere e conquistare Tripoli, la politica sia stata di vigile osservazione, pur chiudendo un occhio, finché le esportazioni di petrolio continuano e altre questioni sembrano essere sotto controllo. Al momento, è in corso un processo di normalizzazione di Haftar, ma dipende in gran parte dalla capacità del Governo di Tripoli di assumere un maggiore controllo delle aree strategiche e dei gruppi armati. Inoltre, non è molto chiaro quale sia la politica americana sulla Libia, mentre quella europea rimane divisa e indecisa.

Si racconta che, al di là della divisione tra i governi di Tripoli e Bengasi, la vera identità della popolazione libica sia di natura tribale, con 20 grandi confederazioni, a loro volta suddivise in numerose tribù e clan. È d’accordo?

No, questa è una falsa narrazione. La società libica ha strutture tribali soprattutto a est e a sud, e in gran parte nelle zone rurali. A ovest esistono solo in apparenza, e non possiedono il potere che avevano cento anni fa. La maggior parte dei libici da anni vive in città, e questo è un contesto urbanizzato. Esistono, tuttavia, diversi gruppi sociali come il consiglio degli anziani e i legami familiari dei clan che in alcuni contesti sono ancora influenti, cioè in grado di controllare le risorse e causare divisioni. Cresce il potere politico delle città. Ed è anche per questo che a est il monopolio della famiglia e della cerchia di Haftar ha ridotto con la forza significativamente il ruolo delle tribù in termini di decisioni politiche e di Governo.

Caso Almasri. Qual è la sua opinione sul mancato rispetto da parte dell’Italia delle decisioni della Cpi?

È in linea con la politica di impunità con cui gli attori libici, politici o militari, sono stati trattati dall’Ue, dagli stati regionali e dalle Nazioni Unite. Sono più di 12 anni che si violano accordi, si violano risoluzioni e si sabotano gli sforzi internazionali, per non parlare dei crimini contro l’umanità e di una responsabilità penali orrende, senza alcuna responsabilità. Non solo in Libia, ma a livello globale, questa è una crisi che ora viene sfruttata da altri stati come Russia e Israele.

Secondo i dati dell’Oim e di Frontex, i decessi in mare al largo delle coste libiche sono in aumento nella prima metà del 2025. E secondo le sue fonti dirette?

Sì, c’è una terribile guerra in Sudan in cui è coinvolto Haftar, molti conflitti si stanno intensificando in Mali, Congo ecc. Le persone si sposteranno sempre, è inevitabile anche se non ci sono guerre, l’aspirazione a cercare migliori opportunità e vivere in sicurezza sarà sempre una motivazione per gli esseri umani, ovunque. Purtroppo in Africa, questo è legato a una lunga storia di corruzione, sfruttamento e conflitti che sono l’eredità del colonialismo che, per quanto agli europei piaccia pensare che sia finito, finché continuano a intromettersi e a trarne vantaggio economico, non lo è.

Spostiamoci nella vicina Tunisia. Due anni fa, il Governo italiano e la Commissione europea si vantavano di aver raggiunto un “accordo storico” con il Governo autoritario tunisino del presidente Kais Saied sulla gestione dei migranti. Qual è la situazione oggi?

È stato interrotto un processo democratico riconoscendo ulteriore potere a Saied e ora ci troviamo con un altro Governo instabile, che sfrutterà a proprio vantaggio la disfunzionale questione migratoria europea. Questi accordi fanno fare bella figura ai politici europei nel breve termine rispetto all’opinione pubblica, ma si rivelano essere così miopi e incredibilmente distruttivi che si ritorcono contro gli stessi Governi europei.

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