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Salario giusto e chiamata alla solidarietà

XXV domenica del Tempo ordinario. L’insegnamento della parabola degli operai della vigna chiamati a tutte le ore

“Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito: che cosa ne avremo?” (Mt 19, 27). “Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno” (Mt 20,21). Sia Pietro sia i figli di Zebedeo attraverso la loro madre, chiedono una “ricompensa” per la loro scelta di seguire Gesù. La parabola della 25ª domenica viene collocata dall’evangelista tra queste due richieste, come una risposta ad esse, anche se poi ciò che propone va oltre.

La stessa ricompensa

Come tipico nelle parabole, il racconto sorprende gli ascoltatori fin dalla prima scena: il padrone di una vigna che vada a cercar braccianti fin quasi a sera sembra perlomeno poco capace di prevedere le esigenze del lavoro da fare. Ma il punto più alto di sconcerto (e di capacità di far immedesimare l’ascoltatore) è preparato sapientemente con quell’ordine inverso di pagamento, che crea le attese di chi ha lavorato fin dall’inizio del giorno per un salario migliore di quanto pattuito. E la risposta del padrone è sorprendente, letteralmente: “Il tuo te l’ho dato, e di quel che è mio faccio quel che voglio!”. Non ci sono obiezioni possibili ad una simile dichiarazione, che da un lato ha rispettato il contratto e dall’altro ha provveduto anche a chi non era stato preso al lavoro fornendogli la somma per quel giorno necessaria alle necessità sue e della sua famiglia. In effetti, più che “dare di più”, viene dato a ciascuno lo stesso, che fosse stato pattuito all’inizio o soltanto genericamente promesso a chi è venuto dopo. Qualche commentatore afferma: «Dal punto di vista della ricompensa tutti gli operai vengono resi “primi”». Il padrone della vigna, usando come lui vuole di ciò che è suo, decide in libertà di comportarsi “con bontà” rispetto a chi rischiava quel giorno di tirar la cinghia, lui e la sua famiglia.

Oltre giustizia

E gli ascoltatori, sia quelli del tempo di Gesù, sia noi oggi, si ritrovano di fronte ad una logica di comportamento che, più che ingiusta, potremmo dire sia “più che giusta”. Un modo di fare che si prende cura oltre misura, oltre il dovuto, anche di chi si trova penalizzato dalla situazione: «nessuno ci ha presi a giornata». Al di là di giudizi su pigrizia o incapacità, il padrone della vigna - Dio stesso - decide liberamente di “far giustizia” in questo modo in una situazione di svantaggio e di marginalità. E’ quel che Gesù compie nella sua vita, andando ad incontrare tutti, ma soprattutto chi era ai margini, che fossero ricchi e malvisti pubblicani, malviste e sfruttate prostitute, malati isolati ai margini della comunità, donne con ben scarsi diritti e bambini senza importanza. Fino agli stranieri, considerati reietti, empi, idolatri... A loro, ma non solo a loro, annuncia la sconvolgente buona notizia che Dio si prende cura di ciascuno e di ciascuna perché ciascuno e ciascuna possano avere in dono la vita piena, la vita di Pasqua, quella che Gesù renderà accessibile attraversando la sua morte. Il “salario”, «quel che è giusto» per provvedere alla vita, nella logica del Regno è una vita da risorti. E fin da ora, fin da qui, è il «centuplo» di relazioni e di bene che rende possibile affrontare ogni morte si presenti nel cammino della nostra esistenza. Questo modo di fare libera “i primi” dal presumere della loro forza e libera “gli ultimi” dal commiserarsi nella loro impotenza.

Per una vita piena per tutti

Un tale modo di comportarsi di Dio annunciato nelle scelte, nelle azioni, nelle relazioni intessute da Gesù e fin nelle sue parole, ha delle conseguenze generative anche nel nostro modo di metterci in relazione con gli altri. Come nella parabola del debito impossibile incredibilmente condonato vi è la chiamata a conversione originata da un’esperienza di “salvezza” (Mt 18,23-35), anche qui, in positivo, nel salario che permette a tutti di vivere, distribuito “oltre la legge” dal padrone della vigna, vi è una chiamata a solidarietà con coloro che patiscono di essere gli ultimi sulla piazza. Non per un malinteso “buonismo”, ma per una precisa volontà di compiere davvero giustizia, e riparare ciò che rovina la vita altrui. E non posso non ricordare, con amarezza, lo scandalo di chi oggi viene strapagato, dai calciatori o gli allenatori di turno, ai manager che percepiscono stipendi e “bonus” pari al salario di centinaia di lavoratori, ed altri ancora. E ancora, l’appartenere a quella fetta di popolazione mondiale che usa l’80% delle risorse del pianeta, pur rappresentando soltanto il 25% dell’umanità... Non si tratta di senso di colpa, ma di un sentimento di giustizia unito alla consapevolezza che, nella complessità del mondo in cui viviamo, ben più del “si salvi chi può!” è decisiva ed efficace la scelta: “Salviamoci insieme!”. Chi la giudica idealismo ingenuo si confronti con quanto sempre più dichiara chi studia il cambiamento climatico e lo sfruttamento di risorse. E chi si dice cristiano, si confronti con il modo di fare e di vivere di Gesù.

LA SCHEDA (vd. foto)

Spesso nel Vangelo vengono citate delle monete: il denaro era una piccola moneta d’argento del valore di 10 assi. Il denaro fu l’unità monetaria presso i Romani; per la sua bontà, incontrò largo favore anche nei popoli confinanti dell’Impero. Un denaro era il salario giornaliero di un operaio.

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10/04/2025

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