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Mettiamo al centro le persone e le relazioni

Piccoli segni di vicinanza e di legami riscoperti sono tangibili. E’ aumentata la voglia di sapere cosa accade nel mondo, quantomeno per parlare di Covid e politiche annesse. Molte persone hanno accettato e rispettato con grande senso di responsabilità le misure di contenimento per il bene proprio e dell’altro. Competenze e professionalità diverse si uniscono a vari livelli per far fronte all’emergenza e progettare il futuro.

Nelle ultime settimane stiamo riprendendo un po’ di normalità. Piano piano ciascuno ritorna alle attività ordinarie, anche se in modo nuovo o diverso. Iniziamo a lasciare le nostre case per qualche ora in più. Forse ci stacchiamo anche da pc, tablet e smartphone. Rivediamo familiari, amici, ci spostiamo nei luoghi a noi cari, incontriamo persone. Ricominciamo, anche se con modalità nuove, un po’ distanti e con un certo disagio!

Questa lenta ripresa, seppur con molti interrogativi, alleggerisce in parte i nostri cuori, riempiendoli di speranza, perché ci sembra che il peggio sia passato e possiamo forse ritornare alle nostre sicurezze.

Sicurezze fatte di relazioni, amicizie, legami, lavoro, cura... sicurezze che la maggior parte della popolazione italiana dava per diritti acquisiti e che improvvisamente non sono state più garantite. Il Covid-19 ci ha messo di fronte alla sofferenza, alla morte, al rischio di morire o veder morire le persone a noi care. Ci siamo sentiti, tutti, nello stesso tempo e in tutto il mondo, fragili, noi e gli altri.

In molti Paesi questa esperienza di precarietà è ordinaria e permanente a causa di povertà, sfruttamento, mancanza di un sistema sanitario, guerre. Un amico dal Ciad mi ricordava: “Qui non sappiamo se ci sia il virus, ma la gente muore comunque per molte altre semplici malattie. Se si diffonde anche quello, sarà una strage”. Il vivere questa esperienza di fragilità “contemporaneamente nel mondo” ci fa scoprire che in fondo nelle nostre paure e fragilità siamo tutti uguali, al di là di ogni appartenenza. E non solo siamo uguali, ma siamo anche interdipendenti a vari livelli: politico, economico, ambientale. 

Credo che uno dei più grandi segni di speranza di questo tempo, sia proprio quello di aver riscoperto, in questa drammatica vicenda, che non possiamo più far finta che quel che accade in qualche parte del mondo non ci riguardi. Lo sviluppo sociale e umano della nostra bella Italia non può prescindere dal considerarci parte di un mondo più grande che va oltre i nostri confini territoriali. Se riconosciamo e riscopriamo questi “legami”, in fondo non tanto invisibili, possiamo trasformare questa esperienza di fragilità in ricchezza per noi stessi, per la nostra società e per il nostro pianeta.

Certamente il mondo politico in questo momento ha un ruolo centrale e decisivo per lo scenario futuro, ma è anche vero che ciascun individuo ha la possibilità di incidere nell’oggi e nel futuro con gesti e azioni che facciano tesoro di quanto maturato in questi mesi.

Piccoli segni di vicinanza e di legami riscoperti sono tangibili. E’ aumentata la voglia di sapere cosa accade nel mondo, quantomeno per parlare di Covid e politiche annesse. Molte persone hanno accettato e rispettato con grande senso di responsabilità le misure di contenimento per il bene proprio e dell’altro. Competenze e professionalità diverse si uniscono a vari livelli per far fronte all’emergenza e progettare il futuro.

Sembra che la condivisione di questo tempo di fragilità abbia avvicinato le persone nella loro umanità con piccoli segni quotidiani e parole di vicinanza: un “grazie”, un saluto speciale, una telefonata o un messaggio, un “come stai?”, un sorriso con gli occhi, un “mi siete mancati” con voce sommessa... tutto per dire “siamo vicini”, “sei importante per me”, “non posso restare solo”.

La riscoperta di queste relazioni interdipendenti ci carica oggi, ancor più, di responsabilità nella progettazione del futuro e ci obbliga a ripensare un’etica delle relazioni internazionali. Come ricorda papa Francesco nell’enciclica Laudato Si’, “bisogna rafforzare la consapevolezza che siamo un’unica famiglia umana. Non ci sono frontiere e barriere politiche o sociali che ci permettano di isolarci, e perciò non c’è nemmeno spazio per la globalizzazione dell’indifferenza”.

In questa grande famiglia umana ciascuno può scegliere se essere testimone di speranza attraverso piccoli gesti quotidiani di umanità e azioni concrete che mettano al centro la persona e le relazioni, qui e ovunque nel mondo.

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