Questo tempo particolare, che ci vuole preparare nella duplice attesa del Natale del Signore e del suo...
Grappa: 104° anniversario dell’armistizio che pose fine alla Grande guerra
“Mi sono reso conto che la guerra è fatta per avidità di denaro da poche persone che si conoscono e che mandano a morire tante persone che non si conoscono”. Sono parole di Ernest Hemingway, citate da Loris Giuriatti, guida ambientale escursionistica, scrittore, divulgatore, storico. Lo abbiamo incontrato in occasione del 104° anniversario dell’Armistizio di Vittorio Veneto, avvenuto il 4 novembre del 1918, e con lui abbiamo ricordato quei giorni, che assomigliano tanto ai nostri, in cui uomini e donne sono accovacciati dentro a trincee e attendono l’ordine di attacco. “Certo molti dicono che la guerra in Ucraina assomiglia a quella che si combatté in trincea, in particolare sul Grappa, dove le posizioni non si mossero molto tra Caporetto e la vittoria finale. In realtà l’uso che si fa oggi del carro armato mi fa ricordare di più i primi mesi della Seconda”.
Quale clima si respirava tra gli italiani sul Grappa alla vigilia dell’armistizio?
Sono state giornate terribili, negli ultimi cinque giorni gli italiani si dissanguano nell’attacco alle posizioni austriache, fu un macello. I generali volevano la data del 24 ottobre per cancellare i ricordi di Caporetto, anche se il meteo era pessimo. Tutte le fortificazioni austriache sul Grappa erano in posizione a loro favorevoli e non ci fu sfondamento. Intanto il Piave era in piena e non si riusciva ad attraversarlo, poi alle Grave del Piave gli italiani passarono. L’attacco, che doveva durare un solo giorno, fu una carneficina di almeno 5 giorni. “Sul Grappa ci fu un silenzio irreale. Zittiti anche i grilli per le tante cannonate. Gli austriaci lasciano le posizioni per non essere presi a tenaglia dopo lo sfondamento sul Piave. Tra gli ultimi ad abbandonare la posizione sul Grappa, sul monte Asolone, il sottotenente Otto Gallian, per lui avrebbe dovuto essere un momento di scoramento di delusione, invece nel suo diario scrive: “Finirà questa guerra, torneranno i bambini a giocare dove stiamo combattendo”.
Certo torneranno i bambini, ma a recuperare tutto ciò che si poteva in quell’enorme magazzino a cielo aperto che era il Grappa: legna, scatolame, cannoni, fucili, granate. Perfino i tubi degli acquedotti che salivano sul Grappa, i materiali delle teleferiche, smantellate in fretta e furia.
E’ l’epopea tragica dei recuperanti, con il Regio Esercito che lasciava fare, perché da mangiare non ce n’era e chi aveva avuto la fortuna a tornare a casa la trova distrutta e i campi incolti. Sul Grappa per far di nuovo l’alpeggio si riempiono le trincee, affinché gli animali non cadano dentro.
Dopo la rotta gli italiani ebbero l'ordine di lanciarsi all'inseguimento.
Così furono liberate le valli bellunesi, interrotto “l'anno della fame” per le restrizioni degli Austro Ungarici. Ancora oggi qualche vecchio dice a un bambino impertinente: “Sei peggio di un bosniaco”. A Fonzaso si festeggiò.
Non si imparò da quella tragedia, dopo pochi mesi si ricominciò a parlare di guerra.
Questo sinceramente non me lo so spiegare. Ai miei allievi dico: spero che non sarete una generazione di stupidi come noi, che non commettere mai l'errore di fare una guerra. Dalle guerre non si esce mai vincitori. Anche chi vince ha perdite tragiche. Noi italiani pagammo un prezzo altissimo, eppure dalle piazze presto si cominciò a ripetere “torniamo a finire quello che non abbiamo finito”, fino al delirio di Piazza Venezia quando ci si spellò le mani per Mussolini e la sua dichiarazione di guerra a Inghilterra e Francia.