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Solidarietà: Muhammad Shayan, annegato nel Sile, quel che è accaduto dopo

In cinque giorni raccolti più di 7.000 euro: 4.000 sono stati necessari per il rimpatrio del corpo, il resto è stato inviato alla famiglia.

Questo è il racconto di un gesto grande di solidarietà, avveratosi grazie alla tenacia di chi si è impegnato personalmente perché al dolore immenso di una morte giovane non si aggiungesse la sofferenza di una sepoltura troppo lontano dalla famiglia, da casa, dalla propria terra.

Mujahid era con Muhammad quel venerdì 5 settembre. La mattina, insieme con altri pakistani, erano andati in Questura e in Comune per gli appuntamenti per la richiesta di permesso di soggiorno e la tessera sanitaria. Avevano pranzato insieme, ai giardinetti di Sant’Andrea, poi Mujahid era andato a fare una commissione. Quando è tornato, gli altri che erano rimasti con Muhammad stavano gridando e piangendo: Muhammad si era tuffato nel Sile per fare un bagno, e non era più riemerso. Hanno chiamato insieme il pronto intervento, ma ormai non c’era più nulla da fare: il corpo senza vita di Muhammad è stato recuperato poco dopo.

A quel punto, Mujahid si è sentito in dovere di avvertire la famiglia di Muhammad in Pakistan. Ha rintracciato via Facebook il numero del padre, il quale, in un primo momento, pensava a una fake news: si era sentito con il figlio al telefono proprio quella mattina. Mujahid gli ha spedito la notizia riportata dai siti di informazione trevigiani, e a quel punto il padre ha espresso il desiderio che la salma di Muhammad tornasse a casa. Ma i costi erano enormi: intorno ai 4-5.000 euro. Mujahid, su indicazione del padre, ha contattato alcuni conoscenti della famiglia presenti qui in Italia, finché uno di costoro, un pakistano risiedente da 15 anni a Milano, si è offerto di interessarsi al caso.

Il giorno dopo, il sabato, era già a Treviso: insieme hanno riconosciuto la salma e poi hanno iniziato le pratiche per il rimpatrio del corpo. Messisi in contatto con la comunità pakistana presente a Padova, più numerosa e organizzata, hanno lanciato una colletta online tra i pakistani residenti in Italia, spiegando la situazione e il desiderio della famiglia di Muhammad.

In cinque giorni hanno raccolto più di 7.000 euro: 4.000 sono stati necessari per il rimpatrio, il resto è stato inviato alla famiglia. A poco più di una settimana dalla morte, la salma di Muhammad era finalmente a casa. Il venerdì successivo vi è stata una preghiera in suo ricordo nel centro di preghiera islamico pakistano di Padova.

La domanda che sorge spontanea: “Ma perché, Mujahid, ti sei impegnato tanto per una persona che era poco più di un conoscente?”. “Nel mio viaggio verso l’Europa - ci ha risposto - e nel tempo che ho vissuto in Grecia e poi qui in Italia, sono stato aiutato da tante persone. Nessuno mi ha mai chiesto di che religione ero. Di fronte alle difficoltà della vita, e alla necessità di aiutarci gli uni gli altri, la religione più grande è quella dell’umanità”. Una umanità continuamente “imparata” lungo il difficile e rischioso cammino che dal Pakistan arriva in Europa, una umanità che si è fatta gesti di solidarietà e di aiuto concreti e reciproci. Una umanità che continuamente anche noi dobbiamo re-imparare... Per chi è cristiano, ritorna il comando di Gesù: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12). E, ancor più, quel lasciarci coinvolgere nella disgrazia di chi era mezzo morto sulla strada... (Lc 10,29-37).

Grazie, Mujahid: speriamo di essere testimoni insieme di una solidarietà che ci renda tutti più umani. E, per chi è credente in Gesù, anche più cristiani. (a cura di Vasile Cozma, operatore Caritas tarvisina, e di don Bruno Baratto, direttore)

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