La settimana scorsa abbiamo pubblicato una presentazione della lettera apostolica di papa Leone sull’educazione:...
Verso le regionali. Giovanni Manildo: “Con me il Veneto sarà una comunità”
Un Veneto che “cambia passo”, dopo trent’anni di egemonia del centrodestra. Un Veneto “ricucito”, che valorizza il suo policentrismo, riscoprendosi “comunità”. È questa la scommessa di Giovanni Manildo. L’ex sindaco di Treviso, espressione del Partito democratico, è riuscito a unire sotto il suo nome tutte le espressioni del centrosinistra, il cosiddetto “campo largo”. Oltre al Pd, è appoggiato da Alleanza Verdi e Sinistra, Movimento 5 stelle, Volt Europa, Le civiche venete per Manildo. Uniti per Manildo (al cui interno trovano “casa” esponenti di Italia Viva, Azione, Socialisti, e altre formazioni centriste), Pace salute lavoro (con il simbolo di Rifondazione comunista).
Manildo, cinque anni fa finì 76 a 16, tra Luca Zaia e Arturo Lorenzoni. Una sfida audace, la sua. Perché ha accettato?
Questo, per il Veneto, è un momento fondativo. Dopo 30 anni di centrodestra, 15 anni di Zaia, c’è una voglia di alternanza. Mi piace occuparmi di qualcosa che nasce, dell’idea di un nuovo Veneto che sa affrontare come comunità il futuro, ed è il motivo per cui questa sfida è contagiosa, come si vede dalla coalizione molto ampia, una coalizione per costruire un Veneto diverso. L’idea è passare da una Regione che si specchiava molto nel personalismo di Zaia a un Veneto di tutti.
Che bagaglio di motivazioni, di valori, porta con sé?
In primo luogo, ritengo che la politica debba riguadagnarsi la fiducia dei veneti, e questo risponde alla mia matrice scout. Ricordo che lo scout, nella sua “legge”, considera suo onore meritare fiducia. In secondo luogo, la politica deve essere servizio, e io non sono un professionista della politica, sono una persona che quando ha finito di fare il sindaco è tornato al suo lavoro. Sono stato anche, in qualche modo, meravigliato di questa richiesta comune, arrivata da tante persone. In terzo luogo, la capacità di vedere lontano, la politica non come ricerca di consenso immediato, anche personale. Secondo me, negli ultimi 5 anni sicuramente, diciamo anche negli ultimi 10 anni, non c’è stata una visione del Veneto del futuro.
Come sono i rapporti con il suo principale avversario, Alberto Stefani?
Dal punto di vista personale è un rapporto ottimo. Io ho sempre detto, anche quando il mio avversario era Giancarlo Gentilini, che l’avversario politico non è mai un nemico. Vedo che, nei toni, questo stile è condiviso anche da Stefani. Lo vedo molto più avanti, rispetto a certe espressioni di Matteo Salvini o Roberto Vannacci. Forse, per questo stile di fondo, qualcuno dice che diciamo cose simili, c’è chi ha parlato di “Stefanildo”. In realtà, penso che Stefani debba capire se si candida in continuità o in discontinuità, perché molte cose che lui dice sono state anche generate da una mancanza di politica degli ultimi 10 anni.
Veniamo ai temi. Anche per ragioni di bilancio regionale, la Sanità dovrebbe essere al primo posto. Ma il modello veneto è in crisi?
Direi che la crisi del modello non ce la possiamo proprio permettere. La supremazia pubblica della sanità deve essere garantita, anche utilizzando i privati convenzionati, i privati accreditati, compresi quelli di matrice religiosa. Non si deve arrivare alla privatizzazione spinta del modello lombardo, le liste d’attesa non si devono accorciare perché ci sono 300 mila veneti come che rinunciano a curarsi. È necessario, quindi, investire sul personale, deve essere riconosciuto il lavoro molto importante di infermieri e Oss. Le risorse le dobbiamo trovare, anzitutto pretendendo, insieme alle altre Regioni, che la spesa sanitaria sia pari al 7% del pil, la media europea. L’Italia è il fanalino di coda, siamo attorno al 6, 6,1%, con la previsione di andare al 5,8. All’interno della sanità, poi, in ogni incontro mi sollevano il tema della salute mentale, che è diventata una vera e propria emergenza, soprattutto tra i più giovani. Il Pd chiede da 5 anni l’istituzione dello psicologo di base. L’altra gamba è la sanità territoriale, con le case di comunità che sono strutture fatte col Pnrr; c’è il problema della gestione, quindi sarà, anche qui, importante pianificare di rompere il tetto di spesa per le assunzioni, perché se non abbiamo persone che lavorano in queste strutture, rimarranno cattedrali nel deserto. Ricordo, infine, che, per i medici di medicina generale, siamo la penultima regione, con 0,67 medici ogni 1.000 abitanti, ce ne mancano 1.500 per avere una copertura idonea. La programmazione sarà importante, io ho promesso che dirò il nome dell’assessore Sanità prima delle elezioni.
Il Sociale, in questi ultimi anni è stato visto quasi come un’appendice della Sanità. Dal settore, c’è una forte richiesta per un assessore che si occupi interamente del Sociale. Sarà questa la sua scelta?
Quello che posso dire, è che ci sarà un assessore alla Partecipazione, perché il vero tema è lo sviluppo gruppo di comunità, il welfare. L’orizzonte è la creazione di comunità in senso ampio. Capisco la richiesta del mondo del terzo settore, perché negli ultimi 10 anni si è assistito a una sanitarizzazione dei bisogni sociali e a un drenaggio della sanità di risorse. Il Sociale non dev’essere la cenerentola, senza, però, demonizzare la doppia “S”, l’integrazione socio-sanitaria, già intuita da Tina Anselmi, di cui, nel Veneto, andiamo fieri.
Tra le emergenze sociali c’è quella della casa, dell’abitare in senso ampio, con molte sfaccettature ...
Il tema è trasversale, ed è sentito da tutti come un’emergenza. Partirei dall’emorragia di giovani, dai 48 mila che sono andati via dal 2011 a oggi... Quando li ho incontrati, mi hanno proposto tre temi: mobilità, casa e costo della vita. Sulla casa, dobbiamo assolutamente affrontare il tema in modo strutturale; abbiamo il 30% degli alloggi Ater che sono inagibili, quindi ci vuole un piano straordinario, serve la creazione di un’agenzia regionale per la casa. Quindi, bisognerà lavorare con le associazioni di categoria perché giustamente si tratta di un tema trasversale: riguarda i giovani, coloro che cercano casa, ma anche da datori di lavoro che non trovano sistemazione per i loro dipendenti, la casa è anche la prima forma anche di coesione per degli stranieri che devono venire a lavorare in Italia. A Padova, per esempio, mi piace molto il fondo un fondo di rotazione, a garanzia del pagamento dei canoni, e questa è una cosa che si deve fare.
Il tema si incrocia con quello dello spopolamento delle aree montane e del Polesine, Come agire?
Non a caso, a Belluno, abbiamo posto come attenzione la politica dell’abitare, una montagna da abitare. Vedo che il rischio dello spopolamento, la perdita d’identità dei piccoli Comuni, di queste “piccole patrie”, come le definisce un recente film, è fortissimo. Non mi piace l’idea che fa da sfondo alla legge sulle Aree montane, la quale, in fondo, dice che si deve accompagnare, all’eutanasia, alla morte, questi luoghi. Noi dobbiamo cercare di invertire questa fuga. Va combattuto lo spopolamento, e favorita la cucitura di un territorio policentrico. Per questo, il tema dello spopolamento è strettamente connesso ai servizi sanitari locali e al tema della mobilità.
Altro grande capitolo... quali le sue proposte?
Bisogna concretizzare un’idea vecchia di 30 anni che si è abbandonata, sono 10 anni che non si parla più di sistema ferroviario metropolitano di superficie, ma il progetto esiste da 30 anni. Dobbiamo riprenderlo, per garantire la cucitura del Veneto policentrico. La rete di città e di Comuni deve essere fatta con questo, con l’integrazione del ferro con il trasporto pubblico locale, la creazione del biglietto unico. Quindi, va incentivato l’uso del mezzo pubblico, alcune Regioni hanno varato la progressiva gratuità per gli studenti fino a 26 anni; in modo intelligente, in Spagna prevedono il versamento di una cauzione all’erogatore del servizio pubblico, una cifra che viene, poi, detratta, in base alla frequenza con la quale utilizzo il trasporto pubblico locale. La Regione dev’essere coraggiosa in questa direzione, il biglietto unico ha senso nella prospettiva della metropolitana di superficie e dell’integrazione con il trasporto pubblico locale. La Regione deve battere il pugno sul tavolo, siamo al paradosso che abbiamo un unico super ski Dolomiti super ski, per sciare, ma non abbiamo il biglietto unico.
Sulla viabilità, la Superstrada pedemontana inciderà a lungo sul bilancio regionale, mentre si torna a parlare della Valdastico. Che ne pensa?
La Superstrada pedemontana è un’opera importante. Risponde a dei bisogni giusti ma, ma va assolutamente rinegoziato l’aspetto contrattuale, con il rischio economico tutto sulle spalle della Regione. Non è possibile che nell’ultimo anno si sia generato un debito di circa 50 milioni di euro, che ha costretto la Regione a mettere l’addizionale Irpef e a togliere altri servizi. Una delle prime cose che faremo, sarà quella di chiamare il concessionario e di determinare totalmente il contratto di gestione della Pedemontana. Sulla Valdastico come sfondamento a nord, registriamo l’apertura di questi giorni del Trentino. Potrebbe essere una valvola di sfogo importante, anche per chi proviene dalla Pedemontana. Non dobbiamo dimenticare però, che si tratta di costruire 70 chilometri, contro i 7 necessari a completare la Valsugana. Dobbiamo capire qual è l’opera più adeguata e possibile. Vorrei aggiungere qualcosa anche sul Bellunese, al di là del dibattito sul prolungamento dell’A27. Le Olimpiadi mettono a nudo una grande carenza infrastrutturale del nostro territorio bellunese. Siamo tutti a fare il tifo per questo evento, però vedo dei seri problemi di gestione, speriamo che tutto vada bene.
Il Veneto perde qualche colpo a livello di competitività. Il famoso modello economico è in crisi? Come la politica è chiamata a intervenire?
Sì. Prima l’economia del Veneto era la locomotiva che trainava anche il resto del Paese, ora tira un po’ meno. A dirla tutta, ha tirato per meriti propri, non c’è stata una grande visione politica. Questo è un momento di difficoltà, e lo registro in tutti gli incontri con le associazioni di categoria e con portatori di interessi qualificati. C’è la voglia di un Veneto più partecipato, di una condivisione delle scelte, di una politica industriale e di una politica di sviluppo economico, nelle quali la Regione diventa il catalizzatore di vari soggetti: penso alla formazione, alle scuole, alle università, agli ordini professionali e alle associazioni di categoria, oltre agli Enti locali. In Emilia Romagna hanno iniziato un cammino di questo tipo vent’anni fa, ora stanno raccogliendo i frutti, non solo con la Motor valley. Noi dobbiamo spingere sull’innovazione, sull’economia verde come possibilità di sviluppo. Vedo fondamentale che le tre università venete si mettano assieme per creare un Politecnico.
Gli effetti del calo demografico e dell’invecchiamento si vedono sul lavoro, sull’economia, e non solo. Come invertire la tendenza?
I dati sul sulla glaciazione demografica sono tremendi, nel 2050 avremo tre anziani ogni under 14. Dobbiamo lavorare su vari fattori. Il primo è la fuga dei giovani, già ricordato. E dobbiamo fare politiche per la famiglia attive, che sostengano il fatto che avere figli. Abbiamo proposto, sull’onda delle scelte del Comune di Mantova e del Comune di Vicenza, che in Veneto ci sia l’asilo nido gratuito per tutti, naturalmente compresi gli asili paritari, il sistema Fism è fondamentale. Un terzo aspetto è quello di regolamentare il fenomeno dell’immigrazione, ci vuole certezza nei numeri, nei flussi, va cambiata la Bossi-Fini. I primi a porci il problema sono gli imprenditori.
Come intende fermare il consumo del suolo?
La legge regionale che aveva un bellissimo nome, “misure per il contenimento del consumo di suolo”, ha avuto tante e tali deroghe che ha reso possibile una cementificazione tra le più alte d’Italia. Dobbiamo assolutamente tornare indietro, quindi stop al consumo di suolo, e creazione delle cosiddette “città spugna”, perché c’è il problema dell’emergenza idrogeologica, è necessaria la rigenerazione di boschi urbani. È necessario ripensare al deflusso delle acque, non soltanto con il piano dei bacini di laminazione, ne mancano 10, che devono essere assolutamente fatti. Certo, c’è la questione aperta del Piave e del bacino di Ciano, e qui bisogna capire, dal punto di vista tecnico, qual è la posizione migliore.
Come immagina il Veneto tra 10 anni? Che tipo di vocazione può avere questo territorio, in uno scenario molto complesso?
Vedo una vocazione comunitaria del Veneto fortissima. Credo che questo tessuto comunitario possa riuscire a fare rete delle proprie piccole eccellenze. Il nostro modello parte dalla laboriosità, dall’intraprendenza di piccoli soggetti, di piccoli gruppi. Questo aspetto va salvaguardato e messo in rete Io vedo un “Veneto comunità”, un Veneto rete di esperienze, che in questo modo può giocare un ruolo di valore aggiunto anche a livello europeo. Dicendo questo, affermo che il Vento è “intimamente” autonomo prima di qualsiasi riconoscimento politico.
Già, l’autonomia. Ci si arriverà, e come?
Io parto dal fatto che il Veneto ha una capacità, diciamo genetica, di risoluzione dei propri problemi che è proprio è dentro di noi. Se c’è un problema, il Veneto si rimbocca le maniche e cerca di risolverlo. Questa è la prima matrice dell’autonomia, ed è importante che ci sia una regia pubblica, che mette queste forze tutte insieme e lo fa diventare comunità. Se, poi, veniamo al tema politico e istituzionale, dico che l’autonomia è stata una bandiera esibita, più che concretamente voluta. Penso che la nostra Costituzione abbia i germi, i semi per un regionalismo, o autonomia differenziata, ma se sono previste 23 materie, non si possono chiedere indifferentemente tutte e 23, insieme. È necessario un modo empirico, concreto di capire quali materie con quali funzioni ci fanno fare un salto in avanti, anche perché molte di queste materie sono di diritto europeo. Allora, l’autonomia, da bandiera esibita, potrebbe diventare strumento di crescita.



