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Crisi Lega, Marzio Favero: “Per noi il Veneto è la linea del Piave. Mai a destra”
Così in là, forse, non si era mai spinto, il presidente del Veneto Luca Zaia, sempre molto felpato e attento a non entrare in rotta di collisione con il segretario, Matteo Salvini. Interpellato alla trasmissione “Che tempo che fa” sulla crisi della Lega e sull’attuale linea di “ultradestra” impressa dal segretario, Matteo Salvini, ha risposto a Fabio Fazio, affermando che esiste “una Lega della politica e una Lega degli amministratori”. Sullo spostamento a destra, ha aggiunto: “Queste sono scelte che sono state fatte e sono anche convinto che dovremo ritarare molte scelte”.
Non una dichiarazione di guerra, del resto non in linea con il personaggio, ma uno smarcamento evidente, in giorni difficili e densi di tensione, per il partito che ha segnato la storia dell’ultimo trentennio, in Veneto. Prima, è arrivata la “mezza” bocciatura della legge sull’autonomia differenziata, da parte della Corte costituzionale. Il presidente del Veneto ha preferito vedere il bicchiere mezzo pieno, cioè la “mezza promozione”, ma anche i sassi hanno capito che i tempi dell’autonomia sono destinati ad allungarsi di non poco, senza alcuna garanzia che essa arrivi in porto. Nel frattempo, infatti, chi nel centrodestra ha molte perplessità sulla legge Calderoli, a partire dal Forza Italia, ha alzato la voce. Quindi, il “tragico” risultato alle regionali, con la sconfitta della presidente leghista uscente, Donatella Tesei, in Umbria, e la quasi sparizione in Emilia Romagna, dove il partito è passato da 14 a un solo consigliere. Infine, le voci, sempre più insistenti, della candidatura di un esponente di Fratelli d’Italia a successore di Zaia, come presidente del Veneto. Un’ipotesi che lo stesso Salvini vedrebbe come possibile, mentre la Lega del Veneto non ne vuole sapere, è disposta a fare le barricate, e ad andare da sola alle elezioni. “La guida del Veneto, assieme all’autonomia, è la nostra linea del Piave”, scandisce Marzio Favero, consigliere regionale, ex sindaco di Montebelluna, spesso voce libera e critica all’interno del partito, la cui deriva sovranista rappresenta, a suo avviso, “un tradimento”. Mentre Salvini sarebbe l’emblema, né più né meno, del “pensiero corto”.
Dunque, Favero, esistono davvero “due Leghe”, come ha detto Zaia?
Il presidente ha usato un escamotage. Politica e amministrazione dovrebbero essere due sinonimi, dato che la politica si occupa, per etimologia, della città. In realtà, Zaia sottolinea la differenza tra la politica che risponde ai cittadini e si occupa di problemi reali, e la politica che agisce rispondendo alle logiche massmediatiche, alle esigenze di visibilità quotidiana.
Chi è leader nazionale dovrebbe avere un orizzonte politico più alto, non crede?
In realtà, chi opera nella trincea degli Enti locali e delle Regioni si accorge che è chiamato a occuparsi di sfide internazionali e globali. Quando ero sindaco di Montebelluna, per esempio, mi interessavo al sistema dello “sport-system”, di livello mondiale. Oggi, le nostre aziende locali si confrontano con il mondo, hanno bisogno di infrastrutture viarie e informatiche adeguate. Viviamo in un sistema multipolare, chi amministra lo deve conoscere e si deve attrezzare. Purtroppo, nel frattempo, la politica nazionale è approdata non tanto al “pensiero debole” teorizzato dal filosofo Gianni Vattimo, ma al “pensiero corto”. Invece, servirebbe uno sguardo ampio, di fronte alla tragedia della guerra nel cuore dell’Europa, di fronte a un fenomeno, come quello delle migrazioni, che è epocale, e non si risolve certo con i blocchi navali o con provvedimenti che durano sei mesi. Mi pare evidente, la classe politica romana non si sta ponendo la domanda su come costruire un’Europa più forte. Noi siamo federalisti da sempre, e questa è, a mio avviso la risposta. Essa non può certo arrivare da chi si è scoperto sovranista, che è un modo più elegante di dire nazionalista.
Vari analisti politici, però, affermano che, proprio per le turbolenze nazionali, è passato il tempo dell’autonomia e del federalismo, che in tempi difficili servono “Stati forti”...
Invece, è vero proprio il contrario! Pensiamo proprio all’Ucraina. Se il suo modello, dopo gli accordi di Minsk, fosse stato federale, con una reale autonomia per la regione del Donbass, forse non avremmo avuto questa guerra drammatica, con odio e ferite che non si rimargineranno per decenni. Se Vladimir Putin è cattivo, e lo è davvero, l’Occidente ha perso un’occasione, ha dimostrato, comunque, di non essere buono. Del resto, un federalista come Altiero Spinelli diceva che anche gli Stati democratici, nel teatro della politica internazionale, “diventano predatori”. E il sindacalista antifascista Silvio Trentin vedeva nello Stato centralista la malattia del secolo.
Bisogna vedere se la dirigenza nazionale della Lega la pensa così, non le pare?
Per parlare con gli altri bisogna avere un’identità, ma questa non può che essere relazionale. Il sociologo Ulderico Bernardi diceva che “chi scambia, cambia”. Di quale identità ha bisogno, oggi, la Lega? La nostra origine, la nostra matrice, è federale, ed è coerente con il percorso della Resistenza e dei Costituenti. Trasformare la Lega in un partito sovranista, cioè nazionalista, equivale a un tradimento. La Lega non era di destra, e non lo può diventare. Lo Stato ha bisogno di grandi riforme e noi siamo chiamati a studiarle e a promuoverle.
Non possiamo, però, non planare nell’attualità. È favorevole a un altro mandato per Luca Zaia? E che pensa dell’ipotesi che il Veneto sia guidato da un esponente di Fratelli d’Italia?
Il tema del terzo mandato andrebbe affrontato con onestà intellettuale. È stato introdotto sull’onda dell’emotività, imitando il modello americano, ma solo per sindaci e presidenti di regione. O lo si fa in modo organico, o non lo si fa. Piuttosto, servirebbe un “cursus honorum”, per cui non si entra in Parlamento, se prima non si è strati amministratori locali. Poi, se la Lega perdesse la guida del Veneto, si tratterebbe di una perdita essenziale per la stessa politica nazionale, poiché, a conti fatti, solo la Lega porta avanti il tema dell’autonomia, che i veneti hanno votato in maniera compatta. Non contesto il diritto di altri partiti a proporsi, ma per la Lega la guida del Veneto è la linea del Piave. Nella nostra regione c’è il Piave, non Caporetto.