venerdì, 28 marzo 2025
Meteo - Tutiempo.net

La radicale riforma della Costituzione

In corso l’iter della legge costituzionale che modifica l’ordinamento giudiziario. Le molte critiche dei magistrati e le stesse polemiche di questi giorni suggeriscono l’opportunità di un confronto più ampio

Il Governo ha presentato, e la Camera dei deputati ha già approvato in prima lettura, una importante riforma della Costituzione che riguarda l’ordinamento giudiziario. La proposta opera in tre direzioni. Anzitutto, viene prevista una rigida separazione delle carriere tra i giudici e pubblici ministeri. Attualmente, tutti i magistrati hanno una carriera comune: fanno un unico concorso e un “tirocinio” comune: poi, vengono assegnati agli uffici giudicanti, o a quelli di Procura, in base ai vari posti disponibili. Attualmente, invero, nel corso della carriera, è possibile un solo passaggio dal ruolo di pm a quello di giudice, e solo nei primi anni di servizio. Di fatto, quindi, è già molto raro il passaggio da una funzione all’altra. Nondimeno l’attuale maggioranza, e con essa molti settori dell’avvocatura, sostiene che costruire due carriere rigidamente separate sia una forma di garanzia per i cittadini, e un riequilibrio delle parti del processo penale: il Giudice sarebbe, finalmente, terzo e imparziale; accusa e difesa si confronterebbero ad armi pari. Conseguente a questa netta separazione delle carriere, la riforma sdoppia il Consiglio superiore della magistratura (e questo è il secondo punto della proposta): ora il Csm, che è organo di garanzia della magistratura e si occupa del conferimento delle funzioni e dei trasferimenti dei magistrati, è unico. Il disegno di legge propone di creare due Csm separati, uno per i magistrati giudicanti e uno per i pm. E per sradicare la degenerazione correntista che affligge la magistratura (venuta a galla con il cosiddetto caso Palamara) si prevede che i componenti del duplice Csm vengano individuati per sorteggio. Il terzo punto riguarda i procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati, che si vuole sottrarre al giudizio del Csm, e affidare a una nuova “Alta corte”, anche questa in gran parte costituita per sorteggio.

La magistratura è fortemente contraria a questa impostazione. In particolare, ritiene che separare il pm dall’unica e comune carriera dei magistrati avrebbe l’effetto contrario rispetto a quello auspicato dagli autori della riforma: anziché dare maggiori garanzie, creerebbe una “casta” di pubblici ministeri sganciati dalla cosiddetta “cultura della giurisdizione”. I pubblici ministeri diventerebbero, nei timori di coloro che si oppongono alla riforma, gli “avvocati della Polizia”, meno attenti ai diritti e alle garanzie, oltre che a rischio di controllo da parte dell’Esecutivo.

Oltre a ciò, è vissuto come un affronto il tema del sorteggio dei componenti del Csm e della nuova Alta corte, che svuoterebbe di legittimazione democratica due organi costituzionali rilevantissimi per l’indipendenza della magistratura.

I magistrati hanno protestato in modo veemente contro la riforma, che ha in sé dei rischi notevoli sul bilanciamento dei poteri dello Stato e potrebbe essere il primo passo per un controllo dell’Esecutivo sui pubblici ministeri. A queste proteste, il Governo e la presidente Giorgia Meloni hanno risposto in modo durissimo, sollevando tra l’altro, una polemica abbastanza pretestuosa sulla base di un presunto (e in realtà inesistente) avviso di garanzia per il caso del generale libico, il cui arresto era stato chiesto dalla Corte internazionale dell’Aja.

Questa tensione non promette nulla di buono. Anziché di fronte a una “giustizia a orologeria” come lamentato da alcuni componenti del Governo, sembra in realtà che le lancette dell’orologio siano indietreggiate a qualche decennio fa, quando Silvio Berlusconi aveva ingaggiato analoghe polemiche nei confronti dei magistrati.

La verità è che il servizio alla giustizia, nel nostro Paese, continua a non funzionare come dovrebbe. E questa riforma, che in realtà non incide sui tempi o l’adeguatezza delle decisioni, tocca, però, il delicato equilibrio tra i poteri dello Stato. E, forse, chiederebbe maggior ponderazione. La riforma non è l’inizio della fine del mondo, come alcuni sostengono. Dividere le carriere dei magistrati in modo ancora più radicale di come lo è oggi non sarebbe, di per sé una tragedia, se si adottassero, però, misure adeguate e durature per salvaguardare l’indipendenza anche dei pubblici ministeri e per bilanciare l’enorme potere che gli stessi, divenuti del tutto “autonomi”, indubbiamente, assumerebbero. Per esempio, alcuni suggeriscono di rimeditare la previsione di costituire due Csm, mantenendo un unico organo, in grado di comporre le esigenze di indipendenza e garanzia. Appare, poi, francamente problematico il meccanismo del sorteggio: se, certamente, potrebbe ridurre l’influenza delle correnti, avrebbe, però, l’effetto di delegittimare il Csm dal punto di vista democratico.

La riforma, in sé, è molto radicale: anzi forse lo è troppo. Aprirsi a un confronto tra tutti gli attori in campo (cosa che il Governo finora ha rifiutato) potrebbe consentire di svelenire il clima e giungere a un testo meno divisivo, di cui c’è senz’altro bisogno per il bene della giustizia nel nostro Paese.

SEGUICI
EDITORIALI
archivio notizie
16/01/2025

Di per sé, l’idea di una “conversione missionaria” della parrocchia non è una novità, perché essa agita...

TREVISO
il territorio
20/03/2025

Mobilità di Marca presenta i nuovi e-bus in servizio sulle linee urbane di Treviso, segnando l’inizio...