Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
La “conversione” di Gesù - Domenica XX del tempo ordinario

E’ un testo fondamentale nel percorso del primo Vangelo e annuncia una “conversione” di Gesù circa la sua missione: da Messia inviato solo «alle pecore perdute della casa d’Israele» a colui che aprirà l’invio dei suoi a «tutti i popoli» della terra e della storia (Mt 28,18-20).
In terra impura una donna impura.
L’episodio segue la controversia di Gesù con scribi e farisei a proposito di ciò che è puro e ciò che è impuro, ciò che permette e ciò che impedisce la relazione con Dio. Gesù sposta la questione dall’osservanza di precetti esteriori al cuore di ciascuno, dove nascono le condizioni per ogni relazione. Quindi se ne parte da lì per «ritirarsi» lontano da quell’ostilità dichiarata che lo porterà a morte (Mt 12,14-15). Ma nelle terre “maledette” e certamente impure di Tiro e Sidone (vedi Is 23; Ez 26-28), fuori da Israele, una donna le cui caratteristiche la mettono nel numero degli impuri e dei maledetti (è pagana, chiede aiuto non per un figlio maschio, ma per una figlia indemoniata), costringerà Gesù a rivedere in maniera fondamentale il senso della sua missione come credeva d’averlo inteso dal Padre.
Un confronto senza tregua.
Il confronto è serrato: la donna insiste nel gridare aiuto, in pubblico, non dà tregua a Gesù al punto che i discepoli gli chiedono di esaudirla per evitare di richiamare troppa attenzione. E’ l’unico caso in cui una donna agisce in questo modo con lui. Ma Gesù è fermo nella sua posizione: dapprima la ignora; poi spiega ai suoi il motivo sacrosanto del suo rifiuto, fondato in ciò che lui stesso ha compreso della missione a cui il Padre l’ha inviato; infine, in un faccia a faccia a cui la donna lo costringe, le oppone una replica in cui emergono gli stereotipi del popolo di Israele, che a quanto pare Gesù ha fatto suoi. E quello che potrebbe essere considerato un modo per ridurre l’impatto dell’insulto tradizionale (“cani!”) risulta invece ancora più duro: i «cagnolini» (letteralmente i «cani domestici») non sono altro che i figli dei cani e delle cagne. Ma la donna usa con Gesù la stessa intelligenza creativa alla quale lui invita chi ascolta le parabole e lo chiama ad un coinvolgimento diretto che parte dalla constatazione di ciò che accade: in tavola c’è così tanto da mangiare per i figli che quanto avanza, le «briciole», è sufficiente a sfamare anche i figli dei cani. Come a dirgli: “Non temere, la ricchezza che il Padre ti ha dato basta fin d’ora a sfamare la fame di salvezza anche di chi non siede alla tavola dei figli”. Gesù ne riconosce la grandezza di fede (in contrasto con la “pochezza” di fede di cui rimprovera i suoi - Mt 8,26; 14,31; sino alla fine, Mt 28,17) e affida a questa sua fede il compimento della salvezza per sua figlia: la fede della donna è tanta da liberare la figlia dal demonio, come per l’altro pagano, il centurione che lo pregava per il suo servo (Mt 8,5-13).
La fedeltà di una madre converte Gesù alla sovrabbondanza del Padre.
Si trovano a confronto in questo incontro una donna fedele al suo essere madre e il Figlio di Dio fedele a quanto lui ha capito dal Padre. E Gesù accetta di convertirsi a ciò che quella pagana gli sa rivelare a partire dalla propria responsabilità di madre: la stragrande ricchezza della misericordia del Padre, già allora, già lì, profezia del potere vitale del Risorto (Mt 28,18). E Matteo annuncia alla sua comunità che grazie ad una donna straniera idolatra perfino Gesù ha dovuto riconoscere un Regno di Dio ancor più grande di quello che aveva intravisto in Galilea: quella manciata di semi caduta in terra buona, quel pane lievitato dal pugno di lievito (Mt 13) avrebbe già allora nutrito i popoli, ben oltre il piccolo numero degli Israeliti. È una sovrabbondanza che Gesù ha dovuto imparare da un incontro tanto anomalo che lui, all’inizio, ha cercato di evitare con il silenzio del rifiuto.
Notiamo che sia nel Vangelo secondo Matteo sia in quello secondo Marco vi sono due racconti relativi alla “moltiplicazione dei pani”: in entrambi i Vangeli, nel primo racconto, collocato prima dell’incontro con la cananea, avanzano «dodici ceste», metaforicamente abbastanza per sfamare tutto il popolo di Israele; nel secondo, che segue all’incontro, ne avanzano «sette». Non c’inganni il numero più piccolo: simbolicamente, il sette è cifra che indica totalità, nel secondo caso ciò che rimane è sufficiente per tutti, per l’intera umanità. A sottolineare come l’incontro con la donna pagana abbia mutato la consapevolezza di Gesù rispetto alla destinazione universale del suo annuncio di salvezza, per l’esuberante misericordia del Padre.
Convertiti da incontri scomodi.
Forse anche la nostra “piccola” fede, personale ed ecclesiale, può essere “convertita” da incontri che magari vorremmo evitare, con chi è duramente fedele al bisogno urgente di tanti figli e figlie loro affidati, che in molti modi ci provoca ad agire come ha imparato Gesù, diventando con loro più capaci di piccoli grandi gesti di bene, di solidarietà, di soccorso, di salvezza... e sperimentando così che anche noi siamo salvati, ben oltre la piccolezza della nostra fede, dall’illimitata grandezza dell’amore di Dio e che possiamo contribuire all’opera di salvezza di Gesù, stando alla sua sequela. Continuiamo ad imparare, con Gesù, che nella storia sempre imprevedibile Dio ci conduce passo passo al suo Regno: pienezza di vita per l’intera umanità.