Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
V domenica di Quaresima: Seminare la nostra stessa vita
Ormai alle porte della Pasqua, nella confusione che questa ricorrenza, una delle grandi feste ebraiche di pellegrinaggio, sta causando a Gerusalemme, una richiesta un po’ inconsueta apre a Gesù la prospettiva del tempo più tragico della sua vita. E’ interessante notare che tale brano richiama quanto era narrato nei primi incontri con i discepoli (Gv 1, 23-51): sono citati Andrea e Filippo, si fa riferimento al Figlio dell’Uomo, al suo innalzamento al cielo, agli angeli, alla “voce” e all’ascolto. Quasi a dichiarare il compiersi del cammino di Gesù e di chi lo segue, ora a confronto con un evento traumatizzante. Secondo l’evangelista, Gesù risponde con una parabola minima ed essenziale: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Qui si racchiude il senso della scelta di Gesù.
Una parabola minima, e la scelta di una vita intera
E’ davvero un “racconto minimale”, relativo a un processo naturale che segna il fallimento o la riuscita per un seme di grano: rimanere sterile o portare frutto. Intorno a queste due dinamiche possibili si sviluppa il brano che riprende una tematica emersa la scorsa domenica: “Essere innalzato”, ma la allarga alla scelta del discepolo e alla decisione del Padre. Se il discepolo sceglie ancora di seguirlo e di mettersi al servizio di ciò che Gesù sta compiendo, il Padre decide di “onorarlo”, accogliendolo presso di sé insieme con Gesù.
Nella percezione dell’«ora» che si avvicina inesorabile, vi è traccia del “turbamento”, dello sconvolgimento profondo che nei racconti degli altri evangelisti si compirà nell’orto del Getsemani. Si annuncia anche il culmine del contrasto con il “principe di questo mondo”, che si concluderà con la sua sconfitta.
Il senso di una scelta: una dinamica di morte e risurrezione
Ma tutto passerà attraverso ciò che quella piccolissima parabola annuncia: una dinamica di morte e di risurrezione. E’ annuncio che, se lo prendiamo sul serio, rimane sconvolgente: dal nostro punto di vista, Gesù non ha colpe da scontare, e neppure lui ci ha fatto intravedere il volto di un Dio che pretende di essere “placato” dal sacrificio del suo stesso Figlio. E allora, che senso ha? Più in generale, dal punto di vista umano, perché la vita deve inesorabilmente fare i conti con la morte, e la morte deve avere l’ultima parola? Domande che rimangono senza risposta: ciò che permane è la scelta di Gesù, di percorrere fino in fondo la sua via, portandone le conseguenze fino in fondo, conseguenze di violenza e di morte. Ma, e questa è la differenza che l’evangelista ci annuncia tramite quella parabola così minima, lui sceglie di farlo intravedendo una vita che neppure la morte riesce ad arrestare. Perché dal seme che muore spunta il germoglio, e quel germoglio darà a sua volta frutti di vita.
Oltre la logica del “principe di questo mondo”
Invece, sottolinea Gesù, chi crede di aver le forze di trattenere altrimenti la vita, va incontro al fallimento (“la perde”). Ancora un verbo che ci sconcerta: “Odiare la vita”, e un senso che va contestualizzato: “In questo mondo”. Quasi a dire che, se limito la prospettiva del vivere al contesto in cui siamo, in cui la morte è inevitabile, rischio di fallire lo scopo: custodire la vita che già vivo per la pienezza della vita di Pasqua. Se tutto si riduce a “questo mondo”, il rischio è rimanere vittime della “logica di questo mondo” che il “principe di questo mondo” troppe volte genera come dominio del più forte e del più violento: poiché nulla e nessuno ti strapperà dalla morte, allora depreda gli altri di tutta la vita che puoi, fanne scorta per vivere meglio! Ma non c’è possibilità, il limite della morte interviene comunque ad azzerare ogni illusoria conquista... Invece, se scegli di affidarti al percorso che Gesù sta facendo, potrai con lui attraversare la morte, generando nuova vita. Vivrai con lui la dinamica del seme, seminato perché porti frutto, non perché rimanga sterile e abbandonato nella terra.
Scegliere di “credere in” Gesù
E qui, ancora una volta, sempre più essenziale si pone la scelta di “credere in” lui: di fidarsi, con cuore, mente, mani, piedi... di seguirlo scegliendo di percorrere il cammino, non depredando gli altri della vita, ma seminando la nostra, perché condividere la vita non porta ad “averne di meno”, ma a favorirne la moltiplicazione, il germoglio, la crescita, i frutti, da condividere a loro volta. Gesti di condivisione del tempo che abbiamo, delle risorse personali e comunitarie, delle capacità e delle qualità di ciascuna e ciascuno... è seminare vita, scegliendo di fidarsi che cresca, che anche altri se ne prendano cura.
Un ultimo accenno: secondo il documento conciliare Lumen Gentium, la Chiesa “costituisce in terra il germe” del Regno di Dio (LG 5), ovvero ne è il piccolo segno che chiede di crescere fino a portare frutto, in relazioni di pace e di giustizia e di cura del creato intero. Ancora una volta la logica del minimo seme: la responsabilità a testimoniarne con credibilità la forza e la tenacia è affidata a tutti noi, che di questa Chiesa siamo membra vive e viventi.