venerdì, 11 ottobre 2024
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Mentalmente siamo fragili

Le diagnosi di disturbi mentali sono in crescita. “I sintomi depressivi nella popolazione generale sono quintuplicati e oggi si stima che li manifesti una persona su tre, soprattutto tra giovani, donne, anziani o ceti sociali più svantaggiati”, spiega il dottor Moreno De Rossi, vicepresidente della società italiana di psichiatria

E’ nato esattamente 100 anni fa a San Polo, Venezia, lo psichiatra e neurologo italiano che ha cambiato l’approccio alla salute mentale in Italia, Franco Basaglia. Fu l’ispiratore della legge 180 del 1978 che, di fatto, promosse radicali trasformazioni nel trattamento psichiatrico, fino a portare alla chiusura degli manicomi. Ne è passato di tempo e la strada percorsa è davvero tanta, i servizi sono evoluti, le conoscenze sociali anche, lo stigma che ha accompagnato a lungo le persone con sofferenza psichica non incide più con lo stesso pregiudizio. Eppure non più tardi dell’autunno scorso, la società italiana di psichiatria faceva uscire i dati sulla salute mentale in Italia sostenendo che “le diagnosi di disturbi sono in continua crescita e colpiscono maggiormente giovani e fragili”. Una sorta di nuova pandemia, ancora più pericolosa di quella da Covid 19: i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità parlano di aumenti del 30% , che valgono in Italia il 4% del prodotto interno lordo, tra spese dirette e indirette. “I sintomi depressivi nella popolazione generale sono quintuplicati e oggi si stima che li manifesti una persona su tre, soprattutto tra giovani, donne, anziani o ceti sociali più svantaggiati”. Guerra, inflazione, solitudini, reti di comunità e legami sfilacciati sono detonatori del disagio mentale che chiede un’importante integrazione tra tutti coloro, servizi, realtà del territorio, famiglie, incrociano la sofferenza psichica. “Serve una grande capacità di accoglienza – spiega il dott. Moreno De Rossi, trevigiano, vicepresidente della società italiana di psichiatria e direttore del dipartimento salute mentale dell’Ulss 3 Serenissima – e, insieme alla professionalità tecnica, una buona qualità relazionale”.

Qual è, dunque, lo stato della salute mentale oggi nei nostri territori?

I dati ci rappresentano una situazione in grande evoluzione. Nel 1978 esistevano in Italia 76 manicomi, in cui vivevano circa 75 mila persone; al di fuori di questi non era prevista alcuna altra forma di assistenza. Nel 2024 ci sono 1.200 Centri di salute mentale in tutta la penisola, 2.000 comunità residenziali, oltre 700 diurne, 300 reparti ospedalieri per situazioni acute, e tutti questi accolgono oltre 800 mila persone, 70 mila solo in Veneto. Insomma, è cambiata completamente la modalità di assistenza, ora territoriale e di prossimità, che riesce a dare risposte a un numero davvero significativo di persone. Senza contare un altro aspetto: le persone erano chiuse nei manicomi contro la propria volontà mentre oggi solo il 6% dei ricoveri è un Tso (trattamento sanitario obbligatorio). L’approccio, prima di tutto, si è capovolto.

E’ solo un luogo comune pensare che le persone oggi soffrano, più di un tempo, di disagio mentale?

Coloro che sono in carico ai servizi specialistici sono senza dubbio la punta dell’iceberg, specie se si considera che a soffrire di un disturbo psichiatrico è circa il 7% della popolazione. Una parte consistente si “autogestisce”, si rivolge al privato, avendone le possibilità, e comunque vivendo situazioni di solito non apicali (per esempio ansia o depressione). E’ un fatto riconosciuto che il Covid abbia incrementato l’accesso ai ricoveri ospedalieri e ai servizi per le numerose implicazioni che prima il lockdown, poi l’incertezza sul futuro hanno generato. Tuttavia, non ci sono solo i disturbi emotivi comuni, stanno aumentando le situazioni complesse. Si sta trasformando il livello dei bisogni: oggi, a differenza di un decennio fa, i disturbi della personalità sono in netto aumento: persone che, dal punto di vista cognitivo, “funzionano”, ma che hanno forti oscillazioni di umore, scarsissima autostima, fatica nella costruzione della propria identità, una grave instabilità interna e complessiva. Il contesto sociale di questi anni ha esasperato e complicato le situazioni, del resto, il sistema di vita attuale espone di più a ritmi e richieste prestazionali che possono generare frustrazioni, sofferenze, disagi.

Migranti, detenuti, persone senza dimora corrono rischi maggiori. Lo abbiamo registrato raccontandolo tante volte anche nel nostro settimanale. Perché?

Dentro alla frammentazione e in un contesto in cui cresce la sofferenza psichica, chi vive delle fragilità ne risente per primo e ancora di più. La salute mentale è fortemente correlata al contesto sociale, economico, relazionale e questi sono fattori determinanti per il benessere delle persone; quando sono deficitari generano disagio che si amplifica laddove le reti di supporto familiare o comunitario sono troppo sfilacciate. Senza contare che l’uso di sostanze, più immediato rispetto al passato, incide anch’esso sulla salute mentale di chi ne fa uso. Le risposte non possono che risiedere nella multidiscipliarietà dei servizi.

Eccola, la parola magica: la rete dei servizi che si mettono insieme perché nessuno sia fuori. Però non sempre funziona...

E’ un cambiamento di approccio importante, soprattutto se si considera che la tecnologia, in questo ambito, è quella “umana” non una macchina che fa la rx o tac. Lavoriamo con la relazione, gli operatori devono essere formati, a tutti i livelli, per offrire risposte adeguate. E’ chiaro che, in questo momento, la rete tra enti pubblici, terzo settore, mondo del volontariato, riesce a dare risposte adeguate (cure e interventi sanitari, ndr) su situazioni urgenti e gravi, ma ci sono aree scoperte su cui si fa fatica. Per esempio tutto l’ambito dei disturbi alimentari, oppure di quelli emotivi comuni, a cui non si riesce a offrire un servizio.

E’ un tema di carenza di risorse e di personale?

Sono 30 mila gli operatori della salute mentale nelle strutture pubbliche in Italia, 2.800 in Veneto tra psicologi, psichiatri, educatori, infermieri... Il punto nevralgico è averne in quantità, ma anche in qualità. L’attenzione nazionale su questo aspetto c’è, anche nella nostra regione negli ultimi due anni si sono assunti professionisti che ora auspichiamo vengano inseriti strutturalmente nei servizi. Questo elemento è centrale per la buona qualità delle risposte che possiamo offrire, perché fondativa è sempre la qualità delle relazioni che sappiamo costruire.

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