Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
La missione dei discepoli - XIV domenica del tempo ordinario
Per andare nel mondo basta il tesoro più prezioso: Gesù stesso

Lungo il suo cammino Gesù non solo chiama a seguirlo, ma invia davanti a sé anche chi gli faccia da apripista. E’ tanta la folla che attende da Lui una risposta ai propri bisogni e attese che i dodici sembrano non bastare. Ecco designarne altri settantadue, un numero che ricorda quanti si pensava fossero i popoli della terra. Non c’è, dunque, nessun “cerchio magico” attorno a Gesù. A tutti il Signore dona di annunciare la gioia del Vangelo: “E’ vicino a voi il Regno di Dio”.
Tutti inviati
Ciascun credente in Gesù insieme al dono della fede riceve anche quello della missione. Chi segue “l’inviato del Padre” si ritrova a sua volta “inviato”: mai però come un navigatore solitario. Un giorno Gesù l’aveva detto: “Dove due o più sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”. Ora li invia a due a due, così sapranno d’avere con loro il tesoro più prezioso: Gesù stesso. Anche se mancheranno di “borsa, sacca, sandali”, anche se saranno sprovvisti di tanti mezzi e talora ne sapranno privi del tutto, la loro unica sicurezza e ricchezza rimarrà Colui che li invia. E’ bello sentir la Chiesa cantare che per lei Cristo è “cibo e bevanda, balsamo, veste, dimora, forza, rifugio, conforto”.
Tanta leggerezza non è però indice di un impegno leggero con Gesù. Chi acconsente a inoltrarsi sulle strade del mondo, come “precursore” del Signore, sa che si troverà ad affrontare i lupi. Allora dovrà vincere una duplice tentazione: quella di fuggire davanti a essi per mettersi in salvo, oppure quella di travestirsi da lupo. Alla radice però c’è sempre la paura di chi crede di dovercela fare da solo, dimenticando di possedere il tesoro della presenza di Gesù, senza il quale non possiamo fare nulla.
Nel segno della mitezza
Quando il “discepolo - missionario” accetta che Gesù sia tutto per lui, la sua principale caratteristica sarà la mitezza. Avanzerà disarmato senza che alcuna cosa possa turbarlo, mangiando e bevendo quello che gli viene offerto. Non avrà altra parola sulle labbra che: “Pace a questa casa”, perché è tutto ciò che ogni cuore e ogni comunità attende. “Essa va costruita artigianalmente, a cominciare proprio dalle case, dalle famiglie, dal piccolo contesto in cui ciascuno vive” (papa Francesco).
Il “discepolo - missionario” sarà contento dell’ospitalità che gli sarà concessa, e se ciò non avvenisse se ne andrà altrove, lasciando al Signore il giudizio, anche se dovrà porre segni che sappiano chiamare a conversione. D’altra parte non dovrà mai dimenticare che il più autentico segno di invito alla conversione sarà solo l’autenticità della sua testimonianza.
L’identità del discepolo
La serva di Dio Lucia Schiavinato osava scrivere al suo padre spirituale: “Non vorrei ch’ella credesse che io preghi tanto per la fecondità del suo ministero tra le anime. No, non ci pensi. Do tutto quello che posso perché l’Amore abbondi di grazie nella sua vita intima. Perché ella si faccia presto santo, ma di una santità genuina. Tutto il resto viene da sé, non è vero? Anche la massima fecondità del ministero, perché la santità strappa le anime all’inferno”.
Se il Signore concederà la grazia e la gioia del “successo” apostolico, anche contro le forme demoniache del male, non dovrà però essere lì il cuore della felicità di un discepolo di Gesù. Non è in ciò che facciamo la radice della nostra identità, ma in ciò che siamo. E ciò che siamo “è scritto in cielo”. Il nostro nome, la nostra identità è “in cielo”, cioè in quel Dio che Gesù ci ha rivelato essere l’Abbà, il Padre della nostra vita.