Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
Ecuador: stretti nella morsa dei narcos
La denuncia di Giuseppe Tonello, originario di Caerano San Marco, già direttore generale della più grande ong del Paese, il Fondo ecuadoriano “Populorum Progressio” e dei missionari fidei donum don Giuliano Vallotto e don Daniele Favarin

Nella maggiore città dell’Ecuador, Guayaquil, i gruppi criminali uccidono di media sei-sette persone al giorno. Molto più a nord, a Esmeraldas, quasi ai confini con la Colombia, una o due, ma, rispetto ai numeri della popolazione, la situazione è ancora peggiore. Ha destato scalpore, lo scorso 12 aprile, il massacro avvenuto proprio a Esmeraldas: un commando di trenta persone, in parte giunto da terra e in parte da mare, in modo sincronizzato, ha massacrato nove persone in una pescheria nella zona portuale. Un attacco che, per modalità e organizzazione, ha ricordato quello dei cartelli messicani.
E’ questa la situazione dell’Ecuador, un Paese che è repentinamente cambiato dopo la pandemia, con una esplosione della violenza che riguarda in particolare le città portuali, maggiormente coinvolte nel narcotraffico, ma anche le carceri, dove le bande si fronteggiano senza alcuna valida presenza dello Stato. In qualche occasione, i morti si sono contati a decine.
Mentre i cartelli messicani di Sinaloa e Jalisco sono presenti in pianta stabile, così come i gruppi colombiani legati alla ex guerriglia delle Farc, crescono le gang locali, bande armate sempre più numerose, le principali sono i “Tiguerones” e i “Choneros”.
Il tutto avviene nell’assenza quasi totale del potere pubblico, soprattutto nelle zone periferiche. Uno Stato, quello ecuadoriano, che si sta liquefacendo, eroso dalla corruzione. Non riesce più a garantire i servizi sanitari, una scuola accettabile, neppure il servizio postale. Figurarsi se, nonostante lo stato d’emergenza proclamato in alcune province, può opporsi ai cartelli del narcotraffico, che hanno eletto il Paese a luogo di passaggio.
Ha la morte nel cuore, mentre ci racconta questa situazione, Giuseppe Tonello, originario di Caerano San Marco, già direttore generale della più grande ong del Paese, il Fondo ecuadoriano “Populorum Progressio”, che in queste settimane è tornato per un breve periodo nel suo paese, prima di volare nuovamente a Quito. Dopo una vita d’impegno per progetti di sviluppo e promozione umana, vede il Paese retrocedere repentinamente. “Ogni giorno, nel Paese, muoiono da 10 a 15 persone per sicariato. Oltre alla violenza, è ripresa l’emigrazione in grande quantità, alla frontiera Usa quella ecuadoriana è ormai la seconda nazionalità, tra i migranti che provano a entrare nel Paese. Stiamo tornando alla situazione di fine anni Novanta, con l’aggiunta del narcotraffico. Eravamo un Paese che funzionava. Adesso non si fanno opere pubbliche, non ci sono medicine negli ospedali, la polizia non riesce a controllare la delinquenza, si privatizzano i beni dello stato, si prendono decisioni non per difendere i diritti della maggioranza della popolazione, ma per aumentare i privilegi di una esigua minoranza. Personalmente, penso che l’Ecuador non supererà l’attuale drammatica situazione se non vorrà tornare a giudicare con serietà e serenità ciò che sono stati i dieci anni di governo di Rafael Correa, con i suoi meriti e anche con alcuni errori”.
Prosegue Tonello: “C’è quasi la volontà di distruggere lo Stato, con privatizzazioni a prezzi bassissimi. Un esempio su tutti. Qui la posta non c’è più, se vuoi spedire qualcosa c’è solo Dhl, le scuole sono a pezzi”. Quanto al narcotraffico, “le bande locali sono formate da mille e più persone, con una disciplina incredibile. Il modello è quello messicano, ma ci sono forti segnali di collaborazione con la n’drangheta calabrese e con la mafia albanese”.
Sempre da Quito, don Giuliano Vallotto, missionario fidei donum della nostra diocesi, che in passato ha vissuto nell’Esmeraldas e mantiene vari progetti in quella provincia, a Muisne, confida: “Ho incominciato a preoccuparmi anch’io, perché mi pare che le bande narcotrafficanti stiano reclutando giovani di 17 - 18 anni nelle campagne. Uno dei nostri ha diffuso una sua foto mentre imbracciava un’arma, con il contorno di braccialetti e collane metalliche che fanno parte del look delle bande. Due anni fa abbiamo espulso 5 giovani dalla comunità che seguo a Muisne, per la loro vicinanza ad alcune bande. Vedo avvicinarsi per i più giovani la possibilità di entrare nella grande criminalità organizzata, che opera come una struttura paramilitare, anche perché nelle campagne non c’è lavoro”.
Proprio dalle campagne dell’Esmeraldas arriva la voce di don Daniele Favarin, missionario fidei donum della diocesi di Padova, da quarant’anni in Esmeraldas, ora a Quinindé, nell’entroterra: “Qui - afferma - la grande criminalità per ora non arriva, ma molte persone sono preoccupate, perché hanno i propri figli che studiano nelle città, o parenti che lavorano a Esmeraldas o a Guayaquil”. A permanere, invece, è l’assenza dello Stato: “Preoccupa la situazione della sanità e delle scuole. Molti ragazzi per andare in classe fanno anche un’ora di canoa, oppure, sono costretti a guadare fiumi pericolosi. Manca il lavoro, stiamo tornando indietro”.