martedì, 29 aprile 2025
Meteo - Tutiempo.net

Donne e lavoro. Il riconoscimento da tributare

L'esperienza di tante infermiere nell'anno della pandemia. Tra lavoro, famiglia, figli e una valanga di emozioni

“Speriamo che la sanità abbia capito che bisogna investire nell’assistenza, nella difesa della vita”. Lorena Luvisotto Santolin ricorda con noi i periodi bui di quest’anno, vissuto da infermiera in un ambulatorio dell’ospedale Ca’ Foncello che non ha mai fermato le sue prestazioni, perché vitali. Tanto lavoro, mentre a casa l’attendevano il marito e i 4 figli, di 24, 20, 13 e 8 anni. Una valanga di emozioni, anche se era necessario separare il lavoro dalla vita famigliare. In ospedale si provava “paura, impotenza, inadeguatezza”. E poi lo stress per i dispositivi di protezione che mancavano, per la paura di prendere il Covid e di portarlo a casa, per la necessità di dar vita a una rivoluzione lavorativa. E tutta quella sofferenza, vista, percepita. E lacrime copiose, di nascosto, a casa.

“Noi donne infermiere - ci dice Lorena - lavoriamo a contatto della sofferenza quotidianamente. E’ molto difficile non farsi travolgere, non rientrare in famiglia con un nodo alla gola. Specie in questo periodo che la sofferenza è enorme e duplice (sofferenza fisica, fino alla morte, e psicologica perché si è soli), è veramente dura. La morte, purtroppo, è un grande mistero che nessuno può svelare. Possiamo solo accompagnare i nostri cari in questo percorso affinché soffrano il meno possibile lasciandoli andare verso la luce con serenità”.

C’è un altro aspetto che accomuna le infermiere e che ha comportato una notevole privazione, in questo periodo: “Noi donne siamo molto empatiche: ci manca il contatto con i pazienti, la forza dell’abbraccio, ci manca il sorriso delle persone e il poterlo donare. Cerchiamo di farlo con gli occhi. In questo anno tra di noi abbiamo implementato la condivisione, anche con semplici gesti, come portare qualcosa da mangiare e dividerlo fra tutti. Abbiamo applicato nuovi metodi di lavoro in cui tutti ci sentiamo importanti, e lo siamo, dai dottori, alle infermiere e alle operatrici sociosanitarie”.

E’ un mondo al femminile, quello sanitario, che richiede moltissimo impegno e altrettanta abnegazione. Nonostante questo, Lorena consiglierebbe questo percorso professionale alle giovani: “Nell’ambito ospedaliero si trova spazio per donare amore e per riceverlo. Certo, ci vuole pazienza e saper trovare la forza interiore per svolgere bene il proprio lavoro”. Sforzarsi per trovare una luce, trasformando sofferenza e tristezza in amore, in nuova energia, in linfa vitale. Non è semplice, ma Lorena, come altre colleghe, ha saputo e sa dove trovare questa forza: “La mia prima reazione all’epidemia è stata la preghiera. Brevi suppliche di aiuto e di protezione, pronunciate a Dio e a Maria (donna, lavoratrice, madre, figlia e moglie come me). Prego tuttora per la mia équipe, per i miei pazienti, per la mia famiglia (per i ragazzi giovani in particolare), per gli anziani, affinché lo spirito di Dio sia sempre presente e dia forza e coraggio nell’affrontare questa grande sofferenza”. Alle infermiere spesso giungono anche l’incoraggiamento e la benezione dei capellani ospedalieri, soprattutto quando le vedono stanche e avvilite.

Rimane una richiesta, importante: “Un riconoscimento del nostro lavoro che è stato spesso sottovalutato. Non solo economico, che non guasta, ma anche l’apprezzamento convinto”. Glielo dobbiamo, se lo meritano.

SEGUICI
EDITORIALI
archivio notizie
10/04/2025

Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...

TREVISO
il territorio