La morte ha la forza di farci riconsiderare le priorità della vita e, forse, di dare loro un po’ di ordine....
Il beato Longhin, messaggero di speranza, che continua a credere nella vita e nella pace
“L’austerità della vita, al di là delle forme concrete che essa assume, anche a seconda dei tempi e delle circostanze storiche differenti vissute, espressione del «totale investimento della propria vita, delle proprie risorse, delle proprie aspirazioni su Dio, sulla chiesa, sui fratelli affidati al proprio ministero», è stata sicuramente una caratteristica fondante del ministero del beato Andrea Giacinto, come è stata anche un tratto - discreto ma reale - della vita di padre Agostino”. Nell’omelia della celebrazione eucaristica nella memoria del beato Longhin, mercoledì 26 giugno, in cattedrale, il vescovo Michele Tomasi ha voluto ricordare mons. Gardin, mancato lo scorso 21 giugno. Alla messa, concelebrata da diversi sacerdoti, ha partecipato una delegazione di fedeli di Fiumicello di Campodarsego, insieme al loro parroco.
“Non riesco a non partire citando le parole dell’omelia di padre Gianfranco Agostino Gardin tenuta in occasione della memoria del beato vescovo Longhin undici anni orsono - ha sottolineato mons. Tomasi -, che sono andato a rileggere in questi giorni, consapevole della penetrazione «spirituale» che un vescovo francescano poteva avere del suo predecessore cappuccino.
«Deconcentrazione da se stessi», aveva definito quello stile di vita il vescovo Gardin. “Ma tale - la sottolineatura di mons. Tomasi -, dovrebbe essere anche il tratto di chiunque abbia il desiderio di vivere da discepolo del Signore Gesù, di chiunque abbia sentito e senta di essere inviato ad aprire strade alla venuta di Cristo, oggi come allora, secondo il racconto evangelico che è stato anche quest’anno proclamato. «Deconcentrazione da se stessi»... Quanto avremmo bisogno di questo atteggiamento nello Spirito, a tutti i livelli della nostra vita, nella Chiesa come nella vita politica, nell’economia come nelle relazioni interpersonali e familiari”.
“Gesù manda i settantadue discepoli «a due a due». Non da soli, ma a coppie, perché in due bisogna mettersi d’accordo, bisogna dialogare, bisogna prendere le misure della parola e del silenzio, e camminare allo stesso passo. Bisogna fare spazio all’altro, all’altra, non è possibile aspirare al protagonismo a tutti i costi - ha ribadito il Vescovo -. Li manda come agnelli in mezzo ai lupi, mantenendo lo stile degli agnelli, imparato da Cristo, l’Agnello di Dio, contro ogni tentazione di acquisire i modi, le strumentazioni, gli atteggiamenti della forza e del potere e mantenendo sempre intatto, ad ogni costo, lo spirito di servizio e di dono di sé. Quell’ascesi diventava continuo promemoria a guardare a Cristo nell’esercizio dell’autorità, a non cercare se stesso, ma la maggior gloria di Dio. E li manda forti solamente dell’annuncio del Vangelo”.
“E il Vangelo si fa, subito, per sua stessa essenza, annuncio di pace: “in qualunque casa entriate, prima dite: «Pace a questa casa!»”. Un annuncio a caro prezzo, che richiede il dono della vita. “Il Vescovo Longhin che rimane in Diocesi a Treviso quando questa è sul fronte della prima guerra mondiale, unica istituzione che, assieme ai parroci, rimane con un popolo che aveva bisogno di sostegno e di guida è il messaggero che “resta in quella casa”, che non cerca qua e là, nemmeno sostegno e protezione, ma si fida di Colui che lo ha mandato. Il vescovo Longhin che nel 1918 scrive ai parroci affinché convincano i contadini a seminare i campi in zona di guerra, è il messaggero di speranza che continua a credere nelle ragioni della vita e della pace, contro ogni calcolo umano”.
“E i discepoli condividono la mensa con coloro che ne accolgono l’annuncio. Essi non vivono un’altra vita, non abitano in quartieri separati – la sottolineatura – condividono la mensa e la fraternità, vivono insieme a chi li ospita la comune umanità. Poveri di tutto e ricchi di niente, mostrano la natura del Regno che è capacità di accoglienza. E donano agli abitanti della casa di essere accoglienti a loro volta. Essi ricevono anche il mandato di guarire i malati, che in effetti è mandato di curarli. Così, si scopre che il Regno è vicino se impariamo ad accoglierci a vicenda, se chiediamo di essere accolti, e se insieme ci prendiamo cura gli uni degli altri. Se cioè avviene il “totale investimento della propria vita delle proprie risorse, delle proprie aspirazioni su Dio, sulla chiesa, sui fratelli affidati al proprio ministero”.
“In questa memoria del beato vescovo di Treviso Andrea Giacinto Longhin, che cade nei giorni in cui con mestizia ci prepariamo a dare l’ultimo saluto al suo successore Gianfranco Agostino Gardin, chiediamo che il Signore si prenda cura della nostra Chiesa. Ci prenda per mano, ci faccia sentire che conta ancora su di noi, anche se piccoli, spesso smarriti e tanto fragili (e scelti, voluti ed amati forse proprio per questo) per mostrare attraverso di noi che «il Regno di Dio è vicino»”.