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In scena il genocidio degli yazidi

La storia di Lisa Lazzaro, attrice, archeologa, pittrice. Originaria di Quinto di Treviso, classe 1998, vive da oltre un anno a Duhok, nel Kurdistan iracheno

Una storia di scandalo e sospetta eresia che si conclude con la chiusura del monastero di Santa Caterina di Prato e il suicidio di una giovanissima monaca, suor Orsola. La quiete del convento è stata turbata dai comportamenti di una enigmatica religiosa, madre Irene, e il vescovo di allora, anno 1781, decide di inviare un vicario per approfondire la natura e la verità dei fatti con un interrogatorio ufficiale di tutti i testimoni. “L’abbandono”, questo il titolo del film che racconta una storia realmente accaduta, indaga il rapporto e il conflitto tra la natura del potere e dell’autorità e il desiderio di libertà, ineliminabile e irriducibile nel fondo dell’essere umano. A interpretare la giovane Orsola, che si avvicina per tramite della monaca più adulta Irene a riscoprire la propria interiorità e femminilità, è Lisa Lazzaro, giovanissima artista, coraggiosa e appassionata, originaria di Quinto di Treviso. Classe 1998, attrice, archeologa, pittrice, vive da oltre un anno a Duhok, nel Kurdistan iracheno, dove si sta preparando per recitare in una nuova produzione cinematografica sul genocidio degli Yazidi, dopo aver appena concluso la prima esposizione dei suoi quadri nel Trevigiano, “We belong to the sand”, noi apparteniamo alla sabbia.

L’arte è delicata

“«L’abbandono» è stato il mio primo film, avevo 19 anni, da poco mi ero diplomata al liceo linguistico Canova di Treviso – racconta -. A guardare indietro mi rendo conto che è stato un lavoro molto impegnativo, ma anche interessante, per me soprattutto, perché mi ha permesso di cominciare a indagare che tipo di artista desideravo diventare”.

Da sempre appassionata di recitazione, dopo le superiori Lisa entra alla prestigiosa scuola di teatro Alessandra Galante di Bologna e in tre anni si diploma. Partecipa a una produzione televisiva più leggera, dove interpreta una giovane ragazza che si divide tra feste, alcol e frivolezze. Non ne va particolarmente fiera, ma, come ogni esperienza, ne trae un buon insegnamento per se stessa: “L’arte per me è delicata, scende nelle profondità, non accetta compromessi, non mette in discussione i valori fondativi nei quali sono cresciuta. Per cui ho imparato a dire anche di no, a scommettere la mia vita su ciò in cui credo profondamente con la consapevolezza che – e qui attenzione, perché Lisa ha «solo» 26 anni – come dice un mio caro amico: «La caratteristica fondamentale della provvidenza è la puntualità». Così, complice anche la pandemia, questa giovane donna si prende una pausa di riflessione e, lasciate le città di Bologna e Roma, tra le quali si divideva per lavoro, torna a Quinto di Treviso per iscriversi all’università Ca’ Foscari: archeologia del vicino Oriente.

Racconta chi siamo

“L’ho scelta con la convinzione di essere appassionata di cose antiche – racconta Lisa –, ci restituiscono il racconto delle nostre radici, di chi siamo e da dove veniamo. Nei tre anni di studi tuttavia ho scoperto che sono materie «scientifiche», rigorose nel metodo e nei contenuti, mentre a me, ancora una volta, ha conquistato la dimensione artistica dell’archeologia islamica e, soprattutto, sono rimasta affascinata dalle terre che ho cominciato a conoscere in modo approfondito, dalla loro storia, cultura, tradizioni e contraddizioni”.

A settembre 2022, con la laurea in tasca, atterra in Kurdistan, a Duhok, per partecipare a una missione di scavi dell’Università di Venezia. Ci rimane due mesi, si innamora di quel posto e alla fine anche di un giovane e promettente artista curdo. Così, dopo il tempo necessario per perfezionare i documenti di soggiorno, ad aprile 2023 si trasferisce definitivamente (per ora) in Iraq. “Ho imparato a conoscere e amare questa terra, il sole, il cibo, le montagne rocciose, la sabbia – riflette Lisa -; certo, è un Paese islamico, un luogo complicato, ma posso vivere una vita assolutamente bella e normale in questa città, sapendo chi sono e da dove vengo e orientandomi tra le regole, le consuetudini, le tradizioni del posto”.

Fino agli anni Settanta, Duhok era un piccolo villaggio di poche migliaia di abitanti situato su di una valle, sulle rive di un piccolo torrente; un luogo di transito da Mosul verso le montagne del Kurdistan dell’Iraq. Poi, è cresciuto a dismisura, tanto che oggi conta una popolazione di più di 350 mila abitanti ed è una delle principali città della regione.

Si sta preparando per recitare in un film sul genocidio degli Yazidi, dopo aver appena concluso la prima esposizione dei suoi quadri nel Trevigiano. “La scorsa settimana la Turchia ha bombardato il nord della Siria, nessuno ne parla”

Porta alla luce altre storie

“Qui ha preso forma il mio progetto «Belong to the sand». Nella pittura ho trovato una nuova possibilità di esprimermi – racconta -. Le opere selezionate che ho potuto esporre a Treviso, nelle scorse settimane, raccontano la storia di un profondo legame, quello tra me e i luoghi, i volti, i colori che quotidianamente abito, in cui dolore e passione si mescolano tra loro in un intricato e intenso groviglio di storia e cultura”. La sabbia, sempre presente come un velo sottile che ricopre ogni cosa, diventa il testimone silenzioso di ciò che accade nelle nostre vite e che, in qualche modo, ci lega gli uni agli altri indissolubilmente”.

Ma soprattutto, ed eccoci al cuore dell’intervista, Lisa mi spiega il progetto cinematografico a cui sta lavorando: reciterà in una produzione che racconta dell’occupazione del Daesh in Iraq e del genocidio degli Yazidi. Una storia di dolore puro, tanto è drammatica. Nell’agosto 2014, dopo che l’Isis ha attraversato il confine dalla Siria, circa 400.000 Yazidi sono stati catturati, uccisi o costretti a fuggire dalla loro patria originaria di Sinjar. Quasi 3.000 donne e ragazze sono state rapite, hanno subito stupri e altre forme di violenza sessuale, e molte sono ancora disperse. I ragazzi sono stati separati dalle loro famiglie e reclutati con la forza nell’Isis. Ancora oggi accade di leggere notizie di “schiave liberate dai principi del Daesh”.

“Mi sento onorata di essere stata scelta per partecipare a questo progetto, l’arte è poter diffondere messaggi, far conoscere storie altrimenti non note – spiega Lisa, mentre tra un quadro e l’altro, impara lo yazida, perché reciterà in lingua originale”.

Bene e male insieme

“E’ una esperienza molto forte, per poter interpretare il ruolo che mi è stato affidato sto studiando e visionando molto materiale”. Come si fa a mantenere equilibrio di fronte al male? “Non so spiegarlo con esattezza, ma vivere in questa parte del mondo, dentro a questa cultura e storia e tradizione, mi aiuta. Il dolore qui può essere lacerante, ma è anche parte del vivere quotidiano che riserva tante sfumature. Loro si sono abituati al dolore, ma lo elaborano in modo differente: lo vivono, lo accettano (o forse no) e vanno avanti”. Dicono: “Si piange una notte intera e al mattino ci si alza e si cammina”. A scriverlo, sfugge la profondità di questo modo di affrontare la disperazione che tiene conto dello scorrere della vita di cui il dolore è una parte. “Nella città sacra degli Yazidi ci sono le macchie di sangue sul pavimento e sopra ci stendono il tappeto sul quale consumano il pranzo – prova a spiegarmi Lisa -. Questa esperienza mi permette di dare voce a ciò che non viene mai raccontato; qui accadono cose bellissime, tra persone meravigliose, e anche cose drammatiche, come le vicende del popolo curdo. La scorsa settimana la Turchia ha bombardato il nord della Siria, ma nessuno ne parla. Del genocidio degli yazidi non si dice nulla. Non ho la presunzione di essere migliore, desidero solo raccontare quello che vivo profondamente, metterlo fuori, a servizio di altri”.

Del resto, Lisa viene da una famiglia da sempre aperta, curiosa e capace di accoglienza. Ovviamente un po’ preoccupata per questa figlia che vive dall’altra parte del mondo, e non solo per geografia.

“Ho scoperto una forte risonanza con questa terra, sto bene qui. Rispetto alcune regole, perché per ora non conosco la lingua e sono evidentemente una europea in terra straniera. Non frequento alcuni posti, non mi spingo in certe zone della città. Cerco di non essere da sola in giro dopo una certa ora, non fumo, non mi metto in situazioni che potrebbero costituire per me un pericolo. Vivo con intelligenza e sensibilità in questo luogo che mi ha accolta e donato consapevolezza e vita”.

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