In particolare, di fronte alle autorità belghe, il Pontefice, oltre a ritornare sullo scandalo degli...
Quei ragazzi con un “dis” in più
Sapeva che c’era verifica, erano passati solo un paio di mesi dall’avvio dell’anno scolastico, prima superiore. Verifica di latino, aveva studiato, era preparata; solo una cosa non era riuscita a imparare, le declinazioni. La professoressa, passando tra i banchi, le aveva chiaramente ricordato che no, le mappe concettuali e gli schemi non li poteva consultare. “Accidenti, come faccio?” si è chiesta parecchio preoccupata. Così, mentre l’insegnante aveva abbassato lo sguardo sul registro, ha lentamente e silenziosamente guardato lo schema da sotto il banco e cominciato a copiare. Non era giusto che dovesse andare così, continuava a pensare nella sua testa. “Marta Maggio, consegni subito il compito”. Scoperta, fregata.
A ripensarci oggi, ne ha fatta di strada questa ragazza, diagnosticata dislessica all’età di 11 anni, laureata in Scienze dell’educazione e scienze pedagogiche allo Iusve nel 2023, oggi professionista che segue bambini e ragazzi con disturbi dell’apprendimento e difficoltà di vario tipo.
Classe 1998, trevigiana di Santa Bona, solare e spontanea, Akela del gruppo scout Treviso 1 per “essere utile e permettere ad altri di vivere una esperienza che a me ha fatto solo del bene”, motto che porta avanti anche nel suo lavoro.
La sfida del cigno nero
All’inizio diceva che le sarebbe piaciuto diventare insegnante, poi educatrice in comunità minori.
Un mestiere che riscuote sempre meno appeal tra i giovani, complice lo scarso riconoscimento economico, ma anche sociale e culturale, specchio di un mondo in crisi proprio dal punto di vista pedagogico e in difficoltà a rispondere alle sfide di oggi. Del resto “il cigno nero è arrivato, l’evento inatteso che sta mettendo in crisi la tenuta dei servizi non meno che i diritti delle persone a cui questi sono rivolti” scrive nell’ultimo numero di Animazione sociale, Marco Tuggia, pedagogista inquieto, formatore e consulente educativo. E aggiunge, provocatorio: “C’è un motivo per cui chi svolge un lavoro sociale dovrebbe dedicarsi in maniera esclusiva alla causa e mettere in secondo piano interessi e passioni personali, essere pagato poco e in modo discontinuo, disponibile a fare diverse ore di volontariato e ad accettare grande flessibilità, facendo una lunghissima gavetta prima di assumere ruolo di responsabilità, e nonostante tutto questo, essere felice e sentirsi fortunato?”.
Ora Maggio è finalmente pedagogista. “Per me è una vocazione, affiancarmi e accompagnare bambini e ragazzi con disturbi e difficoltà di apprendimento, di comportamento, culturali – racconta e in questo caso non è banale dire che i suoi occhi brillano -. Cerco insieme a loro di capire quali sono i punti di forza e di costruire strumenti di potenziamento e compensativi che li aiutino”.
Come un miope porta gli occhiali e risolve il suo deficit visivo, così una mappa concettuale, del tempo aggiuntivo o la calcolatrice aiutano la persona con Dsa, a seconda della sua specifica situazione.
Perché i vari dis – disortografia, dislessia, discalculia, disgrafia – e l’adhd – il deficit di attenzione e iperattività – sono neurodivergenze, che senza dubbio presentano limiti e difficoltà (per come è costruita la scuola e la società di oggi), ma anche abilità e interessi unici e funzionali. Il numero di alunni con Dsa, secondo le ultime rilevazioni del ministero dell’Istruzione, è passato dallo 0,9% dell’anno scolastico 2010/2011 (anno della legge sul tema) al 5,4% nel 2020/2021.
“Questi dati evidenziano una crescita, ma sarebbe un errore parlare di fenomeno «esplosivo» o «fuori controllo» – ha spiegato recentemente Deny Menghini, responsabile psicologia nella Neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza, all'ospedale Bambino Gesù di Roma -. Sicuramente c'è più attenzione, ma c'è anche molto sommerso”. Non per tutti loro è facile vedere riconosciuti i diritti sanciti dalla legge che prevede, tra le altre cose, un piano didattico individualizzato e l’utilizzo di strumenti compensativi.
“Parti uguali tra disuguali”?
Quantomeno per Marta non è andato tutto liscio. “Sono stata diagnosticata dislessica piuttosto tardi, in prima media. Alle scuole elementari, anche se facevo un po’ di fatica non se ne sono accorti, perché frequentavo una classe con bambini con tante e diverse difficoltà e gli insegnanti già di prassi avevano approcci diversificati a seconda delle caratteristiche di ciascuno di noi”: un’aula multiculturale dove tra i banchi sedevano migranti appena arrivati in Italia, bambini non sempre seguiti in modo attento dalle famiglie, qualcuno con disagi importanti, altri “normali”. Di tutto, insomma...
“Dopo aver preso consapevolezza della mia diversità, ho cominciato a cercare cosa poteva aiutarmi a compensare il mio «limite» – racconta Marta -. Ho iniziato a capire che se stavo attenta alle lezioni, gran parte del mio lavoro pomeridiano era già messo in saccoccia; poi ho sperimentato come le mie difficoltà di memoria potevano essere in parte superare con l’uso delle immagini e dei colori oltre che ovviamente delle mappe concettuali”. I libri dell’università di Marta sono un vivace Arlecchino dove ogni colore indica il grado di importanza di un concetto e ai margini i disegni facilitano il ricordo di un argomento che si incide nella memoria di lavoro.
“I primi anni delle scuole superiori sono stati tanto difficili, perché non mi veniva riconosciuto questo disturbo; però hanno rappresentato per me l’occasione di capire che se ci sono delle ingiustizie si può alzare la mano, farle riconoscere e chiedere che i nostri diritti vengano rispettati” ricorda Marta. E se anche così nulla cambia, si alza i tacchi e si va via. Non per scappare – si badi bene –, ma per trovare ambienti inclusivi, anzi più semplicemente adeguati. “Ho cambiato scuola, sono arrivata al Besta, professionale a indirizzo sociale, e un po’ alla volta sono fiorita”.
Cosa ha fatto la differenza? L’incontro con alcuni insegnanti che l’hanno aiutata a riconoscere i punti di forza e hanno valorizzato i suoi talenti. “Ho finalmente cominciato a pensare che non sono stupida, che ho delle difficoltà e che posso usare strumenti compensativi, ma anche che sono dotata di tante abilità”. Quanti cambiamenti, dalla prima superiore con le orecchie basse e la coda tra le gambe alla quinta quando diventa rappresentante di classe, leader tra le compagne, capace soprattutto di credere in se stessa. Tanto da scegliere all’università il percorso di laurea triennale in Scienze dell’educazione, poi la specialistica in Pedagogia e alla fine un Master specifico sul trattamento dei bambini e ragazzi con Dsa, Bes e plusdotati.
Oggi Marta lavora come libera professionista e collabora con lo studio “Allegramente” di Falzè di Trevignano, che si occupa, tra le altre cose, anche di potenziamento e tutoraggio dell’apprendimento. Ne sono nati diversi nel nostro territorio in questi anni proprio per trovare risposte a bisogni educativi speciali nell’infanzia e nell’adolescenza.
“Lavoro perché i bambini possano vivere il loro percorso scolastico, e non solo, più serenamente di come è stato per me, facendo valere i diritti che gli sono riconosciuti per legge e puntando sulle tante e peculiari capacità che ciascuno ha in sé”. Tra i suoi assi nella manica c’è proprio quello di comprenderli appieno, perché accomunata a loro da quel “dis”.
“Arrivo a questo traguardo – conclude Marta – in un tempo che mi pare un soffio, con passione, determinazione e certo, molto impegno”.
Così, contrariamente a ogni premessa, fa quello che le piace, ci campa abbastanza bene e, soprattutto, continua a ricevere nuove proposte lavorative.