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Loreggia: due giorni dedicati al missionario scalabriniano Tarcisio Rubin, testimone di preghiera e povertà
La Giornata missionaria mondiale è coincisa, a Loreggia, con un evento unico che resterà nel ricordi di coloro che vi hanno partecipato: la presentazione dell’avvio della causa di beatificazione di padre Tarcisio Rubin, missionario scalabriniano originario di Loreggia. Alcuni missionari scalabriniani confratelli di padre Tarcisio e il postulatore della causa di beatificazione, padre Marcelo Méndez, hanno rivissuto con la comunità loreggiana le tappe più significative dell’esperienza apostolica del missionario loreggiano.
Due celebrazioni hanno celebrato la eccezionalità dell’evento: la messa del sabato sera, presieduta da padre Méndez e concelebrata con il parroco, don Antonio Cusinato, e i confratelli scalabriniani, e la messa di domenica, presieduta dal vescovo, Michele Tomasi, con la partecipazione del postulatore, dei confratelli scalabriniani e dei sacerdoti loreggiani. Sabato pomeriggio i padri scalabriniani hanno incontrato i bambini e i ragazzi del catechismo raccontando loro i fatti salienti della vita del missionario loreggiano e condividendo i sentimenti che padre Tarcisio, che viveva in Argentina, al confine con la Bolivia, nutriva per i bambini che definiva “beatitudini viventi”.
Diverse sono le foto in cui il “padre con la barba”, così lo definivano i bambini, è ritratto con i piccoli boliviani e indios. La sua catechesi era semplice e andava dritta al cuore, per superare le barriere dell’età e intellettuali e per favorire la mediazione del cuore.
Domenica mattina, prima della messa, i confratelli scalabriniani e il postulatore, alla presenza del vescovo Michele, hanno incontrato gli adulti presentando e condividendo gli aspetti salienti della sua vita missionaria. Padre Antonio Muraro ha spiegato che padre Tarcisio era un missionario itinerante. Aveva scelto di dedicarsi ai migranti, che considerava tra gli ultimi nella scala sociale, condividendo la loro vita quotidiana; lavoro, cibo, casa. Non si fermava in una località più di tre anni, la sua indole itinerante lo spronava ad andare oltre. Dopo l’apostolato con i migranti italiani in Svizzera, Germania, Belgio, ha lasciato quel mondo per compiere un cammino di purificazione e di rinnovamento che dal Belgio, passando tra i monaci ortodossi di Monte Athos, lo ha portato in Terra Santa. Rientrato in Italia, manifestò ai superiori la volontà di andare missionario in Argentina, tra i migranti boliviani e indios raccoglitori di canna da zucchero. Nel 1974 partì per il Paese sudamericano con un biglietto di ultima classe, sul vapore Cabo San Vincente. Viaggiava senza valigia, con la sola veste la fascia e il crocifisso, la Bibbia e il rosario. Era un missionario itinerante, di preghiera e di povertà. Viveva la radicalità del Vangelo, con tutta la sua persona, non si limitava solo a predicarla.
L’arcivescovo Jorge Bergoglio, poi divenuto papa Francesco, che lo conobbe casualmente, diceva che padre Tarcisio era un uomo di Dio. La povertà era il suo mezzo privilegiato per avvicinare gli uomini e portare loro il messaggio evangelico. Possedeva una sola veste, una tunica pesante con la fascia e il crocifisso simbolo degli scalabriniani, due camicie, la Bibbia e il rosario della mamma, un poncho dono degli indios. Era un uomo singolare, sempre in preghiera, ha testimoniato padre Méndez. La preghiera accompagnava ogni sua giornata. Pregava al mattino al risveglio, alla notte prima di coricarsi, prima di ogni incontro importante o di un corso di lezioni. La sua preghiera era lunga e intensa. L’incontro con il futuro Papa Francesco avvenne proprio in uno dei suoi momenti di preghiera. Una sera, Bergoglio, che stava preparando una relazione per i suoi studenti, si recò in una cappella per restare in solitudine e per ritrovare la concentrazione. Entrando, vide qualcosa nella penombra sul pavimento: era padre Tarcisio che pregava rivolto all’altare, inginocchiato con la testa fra le gambe e la fronte appoggiata al pavimento.
In una lettera al parroco di Loreggia , don Antonio Serafin, il missionario affermava che “le parole da sole non giovano molto. Solo la parola incarnata nella povertà di Betlemme , nella croce del Calvario, nella gloria della Resurrezione possono salvare il mondo”.
Il suo sistema di vita semplice nella povertà, sostenuto dalla preghiera costante ha colpito, ha impressionato, ha trasformato tanti di coloro che lo hanno incontrato. Il vescovo Michele, nella sua omelia ha sottolineato la preghiera insistente della vedova al giudice per ottenere giustizia. Come lei, padre Rubin aveva messo la preghiera al primo posto della sua attività apostolica. La preghiera era il mezzo per concentrarsi ed entrare in comunicazione con Dio. Per la comunità di Loreggia, domenica 19 ottobre è stata una Giornata missionaria speciale. La figura di padre Tarcisio maestro di preghiera, esempio di povertà, missionario instancabile era presente e viva, nella mente di quanti lo hanno conosciuto.



