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Paese, i capi scout a Trieste con i migranti

“E’ stata un’esperienza forte; inizialmente, ero titubante, ma ora mi rendo conto di quanto sia importante farsi prossimo - dice Mattia Beraldo, capo del “branco” dei Lupetti, rimasto particolarmente toccato per le bastonate ricevute da un ragazzo dalla milizia croata, tanto da essere ridotto in carrozzina -. Avvicinandoli, i migranti, ti guardano con diffidenza, poi, comprendono che vuoi aiutarli e allora cadono tutte le barriere, aprono il cuore, e, anche se le lingue sono diverse, riescono a esprimersi chiaramente”
25/07/2024

Li noti per il volto triste, specchio di chi ha visto svanire i propri sogni dopo aver percorso mesi, anni, per cercare una vita migliore. Hanno subito tante sevizie, dormito sugli alberi per scappare ai cani che davano loro la caccia nei Paesi dell’Est. Qualcuno non è mai arrivato. Sono i migranti della cosiddetta Rotta balcanica che giungono a Trieste, afgani, pachistani, siriani e di altre nazionalità, che chiedono ospitalità e lo status di rifugiato. I più raggiungono, poi, altri Paesi europei. Così, i capi scout dell’Agesci di Paese, una quindicina, guidati da Andrea Visentin e Graziella Oriana, raccontano la loro avventura del 22 e 23 giugno scorsi quando hanno voluto incontrare personalmente quei “volti”, persone e non numeri, tanto meno bestie come spesso sono stati trattati durante il loro percorso di avvicinamento alla libertà. Eppure, il giorno precedente erano stati sgomberati dal Silos, e deportati in altre località, proprio pochi giorni prima della Settimana sociale e dell’arrivo di personalità, come il presidente Sergio Mattarella e papa Francesco, che tanto si sono spesi per l’accoglienza dei migranti.

Di fatto, la comunità capi Agesci di Paese ha voluto toccare con mano questa realtà raccogliendola dalla viva voce dei disperati che giungono rischiando la vita pur di darsi un futuro. L’incontro è stato organizzato grazie alla sinergia tra Oriana e Linea d’ombra, un’organizzazione di volontariato triestina che si fa carico della prima accoglienza, senza alcun sussidio istituzionale: cure mediche, alimenti, indumenti e sostegno psicologico a chi transita per Trieste.

“E’ stata un’esperienza forte; inizialmente, ero titubante, ma ora mi rendo conto di quanto sia importante farsi prossimo - dice Mattia Beraldo, capo del “branco” dei Lupetti, rimasto particolarmente toccato per le bastonate ricevute da un ragazzo dalla milizia croata, tanto da essere ridotto in carrozzina -. Avvicinandoli, i migranti, ti guardano con diffidenza, poi, comprendono che vuoi aiutarli e allora cadono tutte le barriere, aprono il cuore, e, anche se le lingue sono diverse, riescono a esprimersi chiaramente. Raccontano della loro provenienza, di ciò che hanno lasciato e gli ha spinti ad andarsene, il viaggiare di notte inseguiti non da guardie, ma da aguzzini: questo è ciò che esce, ma il più rimane celato interiormente, forse perché troppo crudo, incredibile”.

“Sono andata a Trieste senza calcoli preventivi, soltanto con l’intenzione di donare spontaneamente un po’ di gioia e di carità, come invita il Vangelo - dice Veronica Schenal, capo del Reparto scout di Paese -. Con gli altri amici mi sono recata al centro diurno, a incontrare questi fratelli per ascoltare i loro desideri”.

Yousif Kordo, un curdo ventisettenne che sapeva alcune lingue, covava il sogno di raggiungere Roma per diventare pilota di aereo. Veronica è rimasta colpita dalla reciproca solidarietà che manifestavano; c’era un medico afgano scappato dalla guerra che si dava molto da fare. Izhar Din, pachistano giunto da qualche anno dalla Turchia a piedi, parlava anche un po’ di italiano avendo svolto vari lavori da irregolare; vorrebbe prendere la patente europea per fare il tassista, servizio che svolgeva al suo Paese. Tutti gli avvicinati auspicano un lavoro regolare, solo che spesso la politica si dà da fare per rimpatriarli o spostarli altrove, un paradosso se si pensa che regioni come il Veneto cercano disperatamente manodopera.

Sgomberato il Silos che ospitava centinaia di persone, ogni notte a Trieste ne arrivano altre. Sono prevalentemente giovani, ma anche donne e famigliole con piccoli al seguito. Si fermano smarriti davanti la stazione, in piazza della Libertà, conosciuta come “piazza del mondo”. Non sono ben visti da tanti residenti. Loro, però, covano la speranza di ottenere il visto per raggiungere al più presto la meta finale: l’Europa del Nord. Recentemente, c’è stata una manifestazione pacifica contro le lungaggini burocratiche. Tuttavia, solo una minoranza sceglie l’Italia, e si tratta spesso di gente istruita, che potrebbe ben integrarsi in una Nazione tesa al gelo demografico. Il bello è che, dopo questa toccante esperienza, uno dei capi scout è risalito sul treno per Trieste, per continuare a portare aiuto ai migranti.

Rinfrancata da questa avventura, la comunità capi di Paese parteciperà alla Route nationale di Verona, dal 22 al 25 agosto prossimo, per condividerla con gli alter ego provenienti da tutta Italia: “Accogliere”, sarà questo il tema del loro intervento, che non si esaurirà così, perché l’argomento sarà ripreso e sviluppato durante i prossimi campi estivi parrocchiali, in un’opera di sensibilizzazione che si concretizzerà anche attraverso una raccolta di beni di prima necessità, in collaborazione con i genitori degli scout, avendo ben presenti le parole di papa Francesco, che a Trieste ha esortato a “trovare il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace, non per difendere privilegi, ma per dare voce ai tanti, ai troppi che non hanno voce”.

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