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V Domenica del Tempo di Pasqua: La gloria del Crocifisso è un Amore risorto

Gesù consegna ai suoi, a noi, uno stile di vita, con la forza di un comandamento

Iversetti proposti seguono, nel quarto Vangelo, l’evento della lavanda dei piedi. Sono rivolti alla comunità dei discepoli («dopo che Giuda fu uscito», Gv 13,31) e introducono i discorsi collocati durante l’ultima cena di Gesù con i suoi.

La gloria che nasce dalla crocifissione

Il tema fondamentale di Gv 13-17 è, infatti, l’interpretazione del senso della sua morte in croce e delle conseguenze di questo avvenimento per i discepoli suoi. E’ annunciato come una «glorificazione» da parte di Dio: in quello che irrompe come uno scandalo tragico – Gesù che viene giustiziato con la morte del “maledetto da Dio e dagli uomini” – in realtà si compie il senso ultimo della sua venuta nel mondo. Ovvero compiere fino in fondo il sogno di Dio: «Che il mondo si salvi per mezzo di lui» (3,14-17). Sprofondando nella morte, Gesù da quella eternità di tenebra trae fuori coloro che sono morti facendoli passare per la fessura della Pasqua, fino a farli giungere nella pienezza dell’amore e della vita del Padre. «Gloria», infatti, nella tradizione delle Scritture, è la manifestazione piena dell’intervento di Dio a favore del suo popolo, da ora in poi a favore dell’umanità intera e dell’intera creazione (Rm 8,18-23). «Sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10), continua ad affermare Gesù in tutto il cammino della sua esistenza, fino al compiersi della Pasqua.

Il dono del suo Amore

Le conseguenze più immediate per la comunità dei discepoli sono due: la prima, lui non sarà più con loro al modo in cui lo era stato fino ad allora; la seconda è un antidoto allo smarrimento che questo comporta: la comunità è resa capace di “amare come lui”, perché il dono del suo amore / del suo Spirito (Gv 19,30; 20,22) sarà pieno e definitivo. Gesù, che sta andando verso la morte amando fino alla fine, fino al compimento (13,1), dona ai suoi di poter a loro volta amare con un amore simile al suo: “Poiché io vi ho amati allora anche voi potete amare così”. Per questo Gesù può consegnarlo come «comandamento nuovo»: è «nuovo» perché insieme al comandamento viene data la capacità di metterlo in atto, lasciandosi trasformare dal suo amore, diventando capaci di coltivarlo, custodirlo, condividerlo nelle proprie scelte, azioni, relazioni. La prima lettera di Giovanni lo afferma con geniale semplicità: «Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo» (1Gv 4,19).

Un “segno” esigente per comunità fragili

E questo sarà il “segno” che identifica i discepoli: mettere in atto uno stile di vita che è quello donato e insegnato da Gesù. E’ il “segno” che la comunità è chiamata a vivere nel mondo e nella storia per essere testimone credibile dell’autenticità della proposta di vita del Crocifisso Risorto. Nelle lettere attribuite a Giovanni si insisterà su questo amore, con grande profondità di argomentazioni (vedi 1Gv 2,7-11; 4,7-21); è senz’altro provocazione per noi che tale profondità di rivelazione giunga attraverso scritti indirizzati a comunità le quali stavano sperimentando divisioni devastanti. A dire anche a noi, oggi, che il dono di Dio continua ad essere offerto, e ad essere operante, fin nelle contraddizioni, nei fallimenti, nelle “morti” che tante volte sono state sperimentate dalla Chiesa di Cristo nella sua storia. Gesù che va verso la croce, patendone il turbamento e la lacerazione, continua a donare il suo amore ai suoi, che poco dopo lo abbandoneranno. Continua a consegnare, con la forza e l’esigenza di un «comandamento», uno stile di vita che tante volte sarà contraddetto dal comportamento dei suoi, da noi...

Un Amore che genera Vita

Ma lo fa non perché è un illuso idealista: ben conosce il cuore di noi uomini e donne e ciò che lo abita (Gv 2,25; Mc 7,21). Lo fa piuttosto perché ben conosce il cuore del Padre e la forza di quell’amore e di quella vita che ne scaturisce (Gv 1,18), capace di generare vita fin nel profondo del male della morte.

Papa Leone, nel suo primo saluto commosso a tutti noi, ha ripetuto più volte: «Dio ci vuole bene, Dio vi ama tutti, ci ama tutti incondizionatamente». E Dio è così convinto che questo amore sia più forte di ogni morte da continuare ad offrircelo e a richiedercelo, fondamento di fraternità, sorgente di pace «disarmata e disarmante». Amore che genera senza misura vita di Pasqua dentro tutte le nostre relazioni, se acconsentiamo che siano fecondate dalla speranza di poter ancora lasciarci convertire da quell’amore.

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