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II DOMENICA DI PASQUA - Il perdono è essenziale per il Vangelo

L’episodio si svolge nel Cenacolo in due momenti, a distanza di sette giorni 

La Seconda Domenica di Pasqua, fin dall’antichità, era detta “in Albis” (deponendis)”, poiché in questo giorno coloro che erano stati battezzati durante la Veglia Pasquale deponevano le vesti bianche di cui erano stati rivestiti: conclude l’Ottava di Pasqua tenendo al centro della liturgia della Parola il Vangelo di Giovanni (20,19-31), un episodio che inizia la sera di Pasqua, nel cenacolo, per concludersi otto giorni dopo, sempre lì dove i discepoli erano rinchiusi “per timore dei Giudei”.

      

Anche io mando voi

La prima scena, collocata alla sera di quel “primo giorno della settimana”, presenta l’apparizione del Risorto a tutti coloro che erano radunati insieme: mancava solo Tommaso (20,19-23). Nella seconda scena, Tommaso, che si era perso quell’importante appuntamento, mostra tutta la sua fatica a fidarsi della testimonianza degli altri apostoli (20,24-25). Nella terza scena, otto giorni dopo la Pasqua Gesù si mostra una seconda volta per rispondere alla richiesta di Tommaso di poter vedere e toccare “il segno dei chiodi” e la ferita “nel suo fianco” (20,26-29). La beatitudine pronunciata da Gesù a causa della professione di fede del discepolo “incredulo” diventa un dono per tutti coloro che, da allora in poi, la sentiranno proclamare nel Vangelo: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (v. 29). La conclusione del brano, che è anche una prima conclusione del Quarto Vangelo (20,30-31), dichiara lo scopo di tutto lo scritto: “perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”.

Gesù, mandato dal Padre, invia a sua volta gli apostoli, dotandoli del dono della “pace” e dello “Spirito Santo”, affinché possano “perdonare i peccati” (v. 23): sembra questo il mandato fondamentale consegnato loro dal Risorto. Solo chi sarà raggiunto dall’annuncio e dalla grazia del “perdono” portato dai discepoli di Gesù, sarà perdonato. San Giovanni Paolo II, infatti, ha voluto dedicare questa domenica alla “Divina Misericordia”, non solo per seguire la “devozione” della santa polacca Faustina Kovalska, ma perché era convinto che, come preannunciato nell’enciclica “Dives in Misericordia”, “il mondo degli uomini potrà diventare «sempre più umano», solo quando in tutti i rapporti reciproci […] introdurremo il momento del perdono, così essenziale per il Vangelo. Il perdono attesta che nel mondo è presente l'amore più potente del peccato”.

 

Fra loro tutto era comune

Continuava il Papa poco dopo: “Il perdono è, inoltre, la fondamentale condizione della riconciliazione, non soltanto nel rapporto di Dio con l’uomo, ma anche nelle reciproche relazioni tra gli uomini” (DM 14). Il perdono ricevuto e donato ha creato, fin dagli inizi, le condizioni per la vita comune dei primi cristiani, come risulta dalla prima lettura (At 4,32-35). Si tratta di un “sommario” che, interrompendo il susseguirsi dei vari eventi, presenta un periodo di tempo prolungato (i verbi sono tutti all’imperfetto) e offre una descrizione idealizzata della prima comunità di Gerusalemme per incoraggiare i credenti di ogni tempo a tendere verso quello stile di vita. Neanche quella prima comunità, però, era perfetta, come risulta dall’episodio narrato poco dopo, riguardante lo scandaloso comportamento di Anania e Saffìra (At 5,1-10); ma certamente c’era qualcuno che aveva veramente scelto di “non considerare sua proprietà quello che gli apparteneva”, come è il caso di Barnaba (At 4,36-37). Sembra particolarmente urgente, nell’attuale contesto, pregare perché tra i cristiani ci siano molti più Barnaba che Anania e Saffìra.

 

Amare i figli di Dio

Il ritornello del Salmo invita a rendere grazie al Signore “perché è buono: il suo amore è per sempre”. La capacità di riconoscere con gratitudine quello che abbiamo come dono del Signore ci permette davvero di non considerare come nostra “proprietà” ciò che ci appartiene, ma di metterlo a disposizione perché venga “distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno”. La Prima Lettera di Giovanni lo dice chiaramente: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1Gv 4,7-8). A conclusione della pericope introdotta dai versetti appena citati si trova il brano proposto come seconda lettura (1Gv 5,1-6). La fede in “Gesù Cristo” è il segno che contraddistingue coloro che sono stati “generati da Dio”: ma “chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato”.

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