martedì, 22 aprile 2025
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Scenari: dalla missione militare in Afghanistan al precipitoso ritiro: una lezione anche per il Sahel

Il Sahel è la regione che taglia l’Africa dall’Atlantico al mar Rosso, attraversando le sabbie del Sahara fino alla savana sudanese. Area ricca di risorse minerarie e naturali dalla cultura millenaria, è resa instabile dalla diffusione dei gruppi armati di varia entità

L’Afghanistan è tornato nelle mani dei talebani prima ancora che gli americani concludessero il ritiro delle truppe. Dinanzi a questa illusione di cambiare le sorti dei pronipoti di Tamerlano, da metà agosto molti occhi sono puntati sui Paesi africani, dove sono presenti truppe straniere ufficialmente impegnate contro il terrorismo. Ci si è chiesti cosa accadrebbe se queste truppe venissero ritirate anche da questi Paesi, dove, peraltro, sale l’ostilità nei confronti dei contingenti militari stranieri.

“Il Sahel è una priorità strategica per l’Unione europea e i suoi Stati membri. L’Ue è impegnata per la sicurezza e lo sviluppo del Sahel di cui l’Unione è il partner principale della regione. L’Ue segue un approccio multidimensionale che integra dialogo politico e diplomatico, sicurezza e stabilità, aiuto allo sviluppo e sostegno umanitario”. Così, a metà giugno, aveva dichiarato Emanuela Del Re, nuova rappresentante speciale della Ue per la regione, già nostra vice-ministra degli Esteri.

Il Sahel è la regione che taglia l’Africa dall’Atlantico al mar Rosso, attraversando le sabbie del Sahara fino alla savana sudanese. Area ricca di risorse minerarie e naturali dalla cultura millenaria, che abbraccia Gambia, Senegal, la parte sud della Mauritania, il centro del Mali, il Burkina Faso, la parte sud dell’Algeria e del Niger, la parte nord della Nigeria e del Camerun, quella centrale del Ciad, la fascia meridionale del Sudan, il nord del Sud Sudan e l’Eritrea. Area complicata, resa instabile dalla diffusione dei gruppi armati di varia entità (da organizzazioni criminali dedite al contrabbando a realtà jihadiste, spesso in sovrapposizione e mescolati tra loro) e dove le condizioni di vita sono tutt’altro che buone, crocevia delle nuove rotte migratorie e per questo considerata la nuova frontiera meridionale dell’Europa.

Commenta Emanuela Del Re, da noi contattata: “Chiudiamo gli occhi e immaginiamo il Sahel: un territorio sconfinato vessato da eventi catastrofici causati dai cambiamenti climatici come le inondazioni, le siccità, dalla durezza dei deserti, dalle carestie, con centri urbani distanti dalle periferie, rese vulnerabili dalla mancanza di opportunità di sviluppo, contesti locali segnati da estrema fragilità economica, sociale e ambientale”.

La mancanza di opzioni e la sopravvivenza a rischio, continua, “offrono un humus fertile per gruppi jihadisti e più in generale criminali. In tutto questo si inseriscono i movimenti migratori, perché il Sahel è regione di transito e di destinazione. Apriamo gli occhi e guardiamo con lucidità alla realtà”.

Le chiediamo come dovrebbe agire il nostro Paese e l’Europa nella regione. “La scelta - ci dice - è quella di partecipare allo sforzo della Comunità internazionale per rafforzare gli Stati della regione nel settore della sicurezza, del capacity building civile e con iniziative di cooperazione allo sviluppo. Priorità assoluta è il rafforzamento della governance nei Paesi del Sahel, per rendere le istituzioni capaci di fornire i beni pubblici essenziali per uno sviluppo socio-economico della popolazione armonico: amministrazione della giustizia, un ambiente che consenta la libera intrapresa economica, infrastrutture di base, e altro. Questo per noi richiede un approccio multidimensionale, che risulta essere funzionale alla stabilizzazione di una regione che rappresenta di fatto il vero confine meridionale dell’Europa, nonché crocevia di un articolato sistema di traffici, legali e illegali che hanno un diretto impatto sulla stabilità e la sicurezza del nostro Paese e dell’Ue. In questa logica, la stabilità della regione del Sahel è una priorità strategica della politica estera europea”.

E mentre ci si interroga sulle ragioni del fallimento della missione afghana, l’Italia sta cercando da tempo un riposizionamento militare in operazioni antiterrorismo in Africa. Abbandonata l’Asia (escluso il Libano), il nostro Paese cercherà di concentrare i suoi sforzi nella stabilizzazione del cosiddetto “Mediterraneo allargato”, da dove provengono la maggior parte delle minacce. Fonti diplomatiche dicono che nel breve periodo le missioni nel Sahel potrebbero veder crescere il nostro contributo in termini di uomini e mezzi. Speriamo con una modalità diversa, per evitare che la pace forzata non si trasformi in un nuovo 15 agosto 2021 e una disillusione per le genti d’Africa.

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