sabato, 26 aprile 2025
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Infermieri tra tensioni e aggressioni, che si incrociano con la ben nota carenza

L’esercito in corsia è ormai richiesto a gran voce anche dai sindacati degli infermieri. Un disagio e una preoccupazione che percorrono tutta l’Italia: nessuno è immune da questo clima esasperato nei pronto soccorso e nei reparti ospedalieri. All’ospedale di Treviso, un mese fa, si è presentato un uomo che pretendeva di fare una tac. Quando il personale sanitario gli ha spiegato che non era necessaria, ha reagito colpendoli violentemente. A Cittadella, qualche giorno fa, un uomo di 35 anni, fuori di sé, è stato arrestato dopo aver aggredito con un coltello di trenta centimetri e ferito il personale sanitario e due carabinieri, all’ospedale. In ottobre, all’ospedale di Dolo, tre infermieri sono stati letteralmente presi a botte. Il sindacato Uil Fpl di Venezia ha attivato un servizio specifico di tutela legale per i lavoratori vittime di aggressioni.

Questo clima di tensione si incrocia con una drammatica carenza di infermieri professionali, che genera turni massacranti e servizi carenti, se non cancellati.

A fronte di 20 mila posti universitari in cinque anni, la reale esigenza di ospedali e rsa sarà di almeno 26 mila professionisti, poiché molti andranno in pensione nel prossimo quinquennio. La Regione Veneto, per quest’anno, ne ha richiesti almeno 3 mila.

I dati dell’Ulss 2 riflettono la dinamica nazionale: la stragrande maggioranza del personale è femminile e ha un’età compresa tra i 49 e i 59 anni; l’11 per cento ha un’età compresa tra i 60 e i 69 anni, quindi prossima alla pensione. A ciò, si aggiunge l’aumento delle “aspettative lunghe” negli ospedali di Treviso, Castelfranco, Oderzo e Pieve di Soligo, almeno quattro volte superiori rispetto alle richieste provenienti dagli infermieri distaccati nei servizi territoriali. Sono segnali inequivocabili di un malessere profondo, che riflette anche la mancata realizzazione degli ospedali di comunità e la non valorizzazione della medicina territoriale. Tutto si concentra sugli ospedali, creando situazioni difficili da gestire.

Esercito, Servizi di polizia o sorveglianza privata possono solo tamponare il problema: esiste un disagio profondo, si è incrinato il rapporto tra la sanità pubblica e i cittadini.

LA TESTIMONIANZA: AL PRONTO SOCCORSO COME “AL FRONTE”

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“Adesso è un’altra vita: turni compatibili, spazio per i figli, soddisfazione economica”. Così si è sentita rispondere la dottoressa Annarita Secchi, infermiera professionale all’ospedale di Vittorio Veneto, quando ha chiesto a un collega che qualche mese prima aveva deciso di dare le dimissioni e passare a un’azienda sanitaria privata. “Confesso che non mi sono sorpresa. Ormai sono tantissimi i colleghi che fanno questa scelta; i più giovani, o anche i meno giovani, puntano addirittura all’estero, dove gli stipendi sono quasi il doppio e ci sono benefit di ogni tipo, dall’alloggio all’assistenza sanitaria fino a strutture di sostegno alla genitorialità. Io, invece, sono qui: sto per prendere servizio, un turno di 12 ore al Pronto soccorso, dove dovrò fare il triage sanitario, cioè assegnare i codici di accesso ai pazienti, e già so che qualcuno mi insulterà, mi rivolgerà parole sgradevoli e dovrò controllarmi per evitare che dalle parole si passi ai fatti”.

La dottoressa Secchi ha un curriculum di tutto rispetto: dopo la laurea in Scienze infermieristiche, ha conseguito la laurea magistrale e un master. E’ stata anche coordinatrice infermieristica e ora lavora in prima linea, al Pronto soccorso e nel 118. Ha a cuore la professione, tanto che è rappresentante sindacale per Treviso del sindacato Nursing Up. “Perché tutta questa violenza? Non so dare una risposta. So solo che, durante il Covid, eravamo considerati eroi, mentre ora i pazienti si presentano al Pronto soccorso già innervositi, e brontolano al primo contatto, dicendo di pagare le tasse e pretendono il servizio. L’altro giorno, mi sono arrivati due intossicati da funghi e, come ovvio, abbiamo dovuto operare in modalità salvavita, con qualche inevitabile ritardo per gli altri pazienti. Ma niente da fare: le persone in attesa hanno cominciato a protestare e la situazione è stata sul punto di degenerare. Alla fine, i pazienti hanno addirittura chiamato i carabinieri, che non hanno potuto fare altro che constatare la correttezza del nostro lavoro”.

Più spesso, però, sono gli infermieri stessi a dover chiamare le forze dell’ordine. Recentemente, a Oderzo, una persona ha inveito contro il personale sanitario, accusandolo di incompetenza. Poi, è entrato nel reparto di pediatria. Alla fine, si è reso necessario l’intervento dei carabinieri. “Da un lato, posso comprendere queste persone che non ricevono risposte immediate. D’accordo, molti sono codici bianchi che dovrebbero essere gestiti dal medico di medicina generale, ma quando telefonano per un appuntamento si sentono programmare la visita a una settimana di distanza, mentre loro stanno male”. Intanto, i turni si allungano, per la mancanza di personale. “Può capitare che un infermiere non abbia riposo per tre settimane consecutive e che i reparti lavorino sotto organico - continua Secchi -. Non dobbiamo dimenticare che la responsabilità diretta della cura del paziente spetta all’infermiere professionale, e, se sbagliamo, ne rispondiamo penalmente. E’ logico che sempre meno persone scelgano questa professione. Il test d’ingresso per Scienze infermieristiche, ormai, non filtra più: c’è posto per tutti coloro che chiedono di entrare. Poi, quando qualche neolaureato arriva, chiede posti specifici e nessuno vuole andare in Medicina e Chirurgia, reparti delicati, dove tutti noi abbiamo fatto la gavetta e imparato il mestiere. Chiedono di avere il sabato e la domenica liberi e, se non li si accontenta, passano ad altre aziende, oppure vanno all’estero”.

Ora è stata avanzata la proposta di “importare” infermieri dall’India. “Va bene - afferma l’infermiera -, ma resta il problema che provengono da culture completamente diverse, e parlano poco la nostra lingua. Già nelle rsa molti infermieri sono stranieri; è stata fatta anche lì una politica di «importazione» di personale. La mia esperienza non è molto positiva. Quando andiamo a prendere i pazienti con l’ambulanza, spesso non riusciamo a comunicare con questo personale straniero, non troviamo la cartella sanitaria né la terapia somministrata”.

Un’altra soluzione sarebbe quella di reintrodurre l’infermiere generico. “Si parla di 500 ore di corso per un Oss per farlo diventare un «assistente infermieristico», ma, comunque, ci deve essere l’infermiere professionale. Questo assistente potrà fare un’iniezione, ma l’infermiere dovrà essere presente per verificare che tutto proceda al meglio”.

Si parla di una carenza di oltre seimila infermieri in Veneto, da qui al 2029. Conclude Secchi: “Abbiamo aperto un tavolo con l’azienda Ulss 2 su questo problema: il dato è allarmante, il 53 per cento delle dimissioni è «inatteso», ovvero non dipende da pensionamenti o limiti di età, ma si tratta di dimissioni volontarie. Servono sicurezza negli ospedali, retribuzioni adeguate, valorizzazione del personale; siamo laureati anche noi, certamente il medico è importante, ma alla fine chi somministra la cura, chi ha la responsabilità diretta, siamo noi. Ecco il grande vuoto: quello della considerazione sociale. In Pronto soccorso si vive questa svalutazione, quasi sempre l’accusa è di non saper fare il nostro lavoro. In realtà, siamo lì per dare la migliore assistenza possibile: davvero non meritiamo questo trattamento”.

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