giovedì, 24 aprile 2025
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Rsa Città di Treviso: ancora non si torna alla normalità

Dentro la sede Israa di Santa Bona con la dottoressa Capotosto. Dopo la quarta ondata si continua a proteggere i più fragili. La solidarietà del personale ai colleghi di origine ucraina

Le tragiche cronache di questi giorni di guerra ci hanno distolti dall’emergenza sanitaria, in molti parlano di una pandemia giunta al termine, ma non è così nelle Rsa, dove per proteggere i più fragili ancora le misure di sicurezza sono alte e l’attenzione è massima. Entriamo all’interno della Residenza per anziani Città di Treviso, grazie al racconto di Emanuela Capotosto, coordinatrice dei nuclei specialistici per la demenza della residenza di Santa Bona e vice coordinatrice della sede, per comprendere quale sia l’attuale situazione e fare il punto su ciò che è stato in questi due anni di pandemia.

Dottoressa Capotosto, com’è la situazione a Santa Bona oggi?
In questo momento siamo appena usciti dalla quarta ondata, che ci ha colpiti all’inizio dell’anno. Eravamo riusciti a trascorrere in serenità le festività natalizie, anche in presenza dei familiari, poi invece è ripartito il contagio. Rispetto all’anno scorso, quest’anno i vaccini hanno tenuto al riparo il personale e la maggior parte degli ospiti dai sintomi più gravi, tuttavia abbiamo sperimentato la rapidità della diffusione del virus, qualsiasi misura prendessimo il virus ci precedeva. Inoltre non è possibile limitare gli spostamenti di persone con disturbi comportamentali o demenze, non capirebbero, per cui la difficoltà di gestione era potenzialmente enorme. Abbiamo optato per dei protocolli non canonici, chiuso i vari reparti, ma lasciato liberi i residenti di girare al loro interno e aumentato le protezioni individuali del personale che per quattro settimane ha girato bardato come nei reparti Covid degli ospedali. Devo dire che tutti hanno dato una risposta molto positiva, andando oltre la fatica e i propri turni di lavoro. Gli educatori si sono occupati di mantenere un contatto giornaliero con i familiari tramite chiamate e messaggi.

Le famiglie hanno compreso l’isolamento della struttura?
I familiari hanno avuto grande comprensione e espresso forte solidarietà nei confronti del personale. Semmai, in generale, in tutti noi ho notato un atteggiamento diverso.

Cioè?
Lo scorso anno, quando siamo stati colpiti, l’adrenalina era alta, c’era la paura, ma anche la volontà di mettersi in salvo, di difendere la vita delle persone più fragili, questa volta la frustrazione, invece, è stata tanta. Anche i protocolli di sicurezza, calibrati sulla prima ondata, sono sembrati discrepanti rispetto ai sintomi della malattia, che in molti casi sono stati lievi. Questo non aiuta a livello mentale.

Ora si torna alla normalità?
Non esattamente, parliamo ancora di un contesto di elevata fragilità e bisogna ricordarlo. Gli ospiti oggi sono tutti negativi, ma c’è ancora qualche positività fra il personale. In ogni caso abbiamo riaperto alle visite dei familiari, con una calendarizzazione e con l’esibizione del green pass rafforzato. E continuiamo a fare i tamponi al personale (circa 200 persone) ogni quattro giorni e ai residenti ogni 10 (250 ospiti).

Uno sforzo organizzativo non da poco...
Decisamente. Inoltre ci sono i tamponi per chi ha dei sintomi. Poi, pensi cosa può significare fare i tamponi a delle persone con demenza o con disturbi del comportamento...

Questi due anni di pandemia cosa lasciano?
Sono stati un mix di emozioni; timore, frustrazione, tristezza, malinconia. Ciò che ha aiutato ad andare avanti è stato mantenere viva l’immagine di cosa sarebbe potuto essere al termine di tutto. Non è stato semplice. La forza è stata affrontare le difficoltà insieme.

Certo per chi coordina, come lei, è ancora più difficile.
Sono psicologa e psicoterapeuta, il mio mestiere mi ha aiutato e dato degli strumenti, ma lo stress è stato comunque tanto. Il mese scorso sentivo la tensione a ogni cambio turno: ogni persona in ingresso faceva il tampone, e io attendevo l’avviso di ogni nuovo positivo e mi chiedevo come coprire i turni dei malati. Questo ha causato tutti i sintomi di chi è sottoposto a uno stress prolungato, come ad esempio disturbi del sonno. Per fortuna il confronto con le équipe di professionisti, con gli altri coordinatori e con la direzione è venuto in supporto. Condividendo la fatica ci si sente meno soli.

Ora riprenderanno le attività?
Le stiamo pianificando, con cautela, però qualcosa per il Carnevale già è stato fatto. Ora l’auspicio è che continui la campagna vaccinale, perché ne abbiamo provato l’efficacia e che si raggiunga un nuovo approccio al Covid, che diventi una condizione e non più un’emergenza.

Viste le carenze di personale anche voi avrete assunto cittadini di origine straniera. Ce ne sono anche dall’Ucraina?
Sì, molto del nostro personale arriva dall’Ucraina, ed è un nuovo dramma che stiamo vivendo. La preoccupazione aumenta di giorno in giorno, anche se per ora nessuno ha lasciato il posto di lavoro per andare in soccorso di amici o familiari. Tutti i colleghi si sono mobilitati per organizzare raccolte fondi e gesti di solidarietà. Tutto ciò ci fa riflettere. E’ il momento di mettere i nostri problemi sotto una prospettiva diversa, di fermarci a pensare e di trovare nuovi modi, più costruttivi, per affrontare il quotidiano, con meno cinismo ed egoismo.

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