venerdì, 09 maggio 2025
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Guerra tra Israele e Hamas: quale futuro per Gaza?

Gaza non è Hamas, anche se Hamas è Gaza. Un paradosso che però ci spiega perché l’imbarbarimento attuale deve essere letto alla luce di un periodo storico più ampio della data del 7 ottobre. E quindi Hamas diventa la scusa per allargare il solco tra arabi ed ebrei, oltre al muro fisico già esistente tra Gaza e il mondo esterno, quasi a rimuovere cosa ci dicono il diritto internazionale e il diritto umanitario

Sono passate cinque settimane dal 7 ottobre, lo Shabbat del massacro, in cui Hamas ha attaccato Israele, uccidendo più di 1.400 persone, per la maggior parte civili, inclusi anziani, donne e bambini, e prendendone più di 240 con sé a Gaza come ostaggi. Dal giorno seguente è iniziata la reazione militare israeliana, prima con bombardamenti di Gaza, quindi con l’invasione per via di terra, ora con la battaglia nelle strade di Gaza City, che ad oggi ha causato 10mila morti, un terzo dei quali bambini, accompagnata dall’evacuazione nel sud della Striscia di oltre metà dei suoi due milioni e 300mila abitanti e da una crisi umanitaria che ha spinto l’Onu e molti paesi a chiedere una tregua umanitaria.

Una guerra impari

E’ una guerra impari di mezzi, di alleanze. Le regole del diritto umanitario ripetutamente violate. Gaza è assediata dall’esercito israeliano che la sta spezzando in due tronconi con l’avanzata dei carri armati e dei soldati a piedi; attanagliata dalla chiusura nelle forniture di acqua, luce, generi alimentari, medicinali ... e dalla disperazione della gente che si trova senza vie di scampo.

Una guerra che viene da lontano

Le origini di ogni conflitto dipendono da chi interpelli, così come le notizie da che parte provengono. Secondo alcuni, quello attuale tra Israele e Hamas in Palestina affonda addirittura le sue radici nell’antichità e nelle sacre scritture ebraiche, che rivendicano questa terra come quella promessa da Dio al popolo ebraico. Questa prospettiva religiosa è un fattore chiave nell’identità nazionale di Israele, ma ha anche contribuito alle tensioni con la popolazione palestinese autoctona.Alla fine della Prima guerra mondiale, l’Impero Ottomano si sgretolò e la Palestina divenne un territorio sotto il mandato britannico. Con la crescente immigrazione ebraica che sfuggiva alle persecuzioni nell’Europa orientale, e con la dichiarazione di Balfour del governo britannico nel 1917 a sostegno di una “patria nazionale per il popolo ebraico”, le tensioni con le comunità arabe locali aumentarono considerevolmente.

Ma l’inizio del conflitto odierno, secondo molti, risale al 1947, quando le Nazioni Unite votarono, in seguito allo sterminio di gran parte degli ebrei europei durante l’Olocausto, per la spartizione del mandato della Palestina in due Stati: uno ebraico (Israele) e uno arabo. La lotta tra gruppi armati ebrei, alcuni dei quali erano considerati organizzazioni terroristiche dai britannici, e i palestinesi si intensificò fino alla dichiarazione di indipendenza di Israele nel maggio 1948.

Iniqua correlazione

Eppure Gaza non è Hamas, anche se Hamas è Gaza. Un paradosso che però ci spiega perché l’imbarbarimento attuale deve essere letto alla luce di un periodo storico più ampio della data del 7 ottobre. E quindi Hamas diventa la scusa per allargare il solco tra arabi ed ebrei, oltre al muro fisico già esistente tra Gaza e il mondo esterno, quasi a rimuovere cosa ci dicono il diritto internazionale e il diritto umanitario (se ancora dovessero valere!) per quanto riguarda la Palestina. Hamas è considerato da una parte dei paesi del mondo il male assoluto, mentre Israele l’avamposto democratico in Medio oriente da difendere nel suo status quo con gli insediamenti ebraici in Cisgiordania: ciò sta determinando veti incrociati alle Nazioni Unite per una mediazione politico-diplomatica tra le parti, anche per una richiesta di “immediato cessate il fuoco”.

Prima del 1948, Gaza era una città distrettuale, che comprendeva il sud della pianura costiera, gli ingressi al Sinai e alla penisola arabica, e il nord-ovest del Negev. Gaza era la porta più meridionale della Palestina, da cui si passa a sud nel deserto, e a nord nella grande Siria. Quello che avvenuto dal 1948, e che è storia dei nostri giorni, è il tentativo di imporre a un luogo e a uno spazio molto dinamico questa entità, la ‘Striscia di Gaza’, come un’enclave chiusa e delimitata.

Da dove partire?

Dal 1967, i territori che l’Onu nel 1948 aveva destinato ai due stati di Israele e Palestina, sono sotto occupazione militare israeliana a seguito della cd. guerra dei sei giorni. Israele occupò i territori palestinesi di Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza, oltre alla penisola del Sinai, stabilendovi negli anni numerosi nuovi insediamenti. Queste occupazioni ebbero un profondo impatto sulla vita quotidiana dei palestinesi e furono ampiamente condannate dalle Nazioni Unite.Dal 1993, a seguito degli accordi di Oslo, Cisgiordania e Gerusalemme est sono nominalmente governate dall’Autorità nazionale palestinese, erede dell’Olp. Ma l’esercito israeliano ha preso fin da subito il costante controllo del territorio palestinese e, tra insediamenti abusivi di coloni e operazioni speciali, gli spazi di autonomia palestinese sono irrisori in un territorio già ridotto.Tra gli oppositori di quegli accordi l’attuale primo ministro israeliano Netanyahu, che ha più volte dichiarato come il ‘cessate il fuoco’ possa essere preso in considerazione solo dopo la totale eliminazione di Hamas da Gaza. Dobbiamo ricordare che Gaza era stata sgomberata dalla presenza di truppe israeliane nel 2005, a cui qualche anno dopo era seguita la costruzione di un muro lungo il suo perimetro terrestre. Gaza dipende dagli aiuti umanitari internazionali e per il resto da Israele: acqua, elettricità, comunicazioni... Ora Israele ha nuovamente occupato fisicamente Gaza con carri armati e militari e questo la obbliga in quanto paese occupante, secondo il diritto umanitario, a rispettare delle norme abbastanza stringenti. Non si può affamare la popolazione. Non si può impedire alle persone di accedere alle cure mediche. Si deve consentire l’accesso degli operatori umanitari. Non si possono colpire edifici civili, ospedali, scuole, luoghi di culto. Non si possono bombardare i campi profughi Non si possono condurre rappresaglie su civili. Queste norme valgono anche per i palestinesi. La loro condizione di popolo soggetto ad una lunghissima occupazione militare ‘legittima’ operazioni contro obiettivi militari israeliani. Ma le milizie di Hamas hanno da tempo adottato metodi simili a quelli dell’Isis e per questo considerati terroristici. Specularmente le operazioni militari su Gaza possono essere considerate ‘legittime’ reazioni all’uccisione di migliaia di civili inermi e alla cattura di centinaia di ostaggi.

Verso l’abisso

Quello che accade sul campo rischia di trascinare una regione verso orizzonti sconosciuti ed impervi. Neutralizzare tutte le milizie di Hamas appare un obiettivo complesso e non raggiungibile solo con bombardamenti e distruzioni su Gaza. Gli oltre due milioni di gazawi (abitanti di Gaza, ndr) non sono tutti di Hamas.L’unica via di uscita è aprire Gaza al mondo e non chiuderla! Non è accettabile la soluzione prospettata dal governo israeliano – in un documento dal titolo “Occupazione di Gaza e cessione totale ai suoi residenti” – per il trasferimento di tutti i residenti della Striscia di Gaza nel nord Sinai, senza possibilità di farvi ritorno in modo permanente sia per la sicurezza dell’integrità di Israele che come nuova terra da destinare agli ebrei che scelgono di rientrare in patria dall’estero. Oltre a riaccendere tensioni con l’Egitto, si prospetta come una vera e propria occupazione territoriale. Appare attualmente debole la prospettiva della leadership di Abu Mazen su Gaza imposta dalle potenze occidentali. Libia docet dopo la morte di Gheddafi! Il documento afferma inoltre che gli Stati Uniti dovrebbero essere coinvolti in questa mossa in modo da esercitare pressioni sull’Egitto affinché accolga i residenti di Gaza e chiede che la comunità internazionale sia coinvolta in questo trasferimento come unica via di uscita possibile. Nel testo si chiede ai diplomatici israeliani di fare pressioni sui paesi europei e il Canada perché possano accogliere e sistemare i rifugiati che saranno evacuati da Gaza, I governi occidentali non hanno preso le distanze da questo documento. A parole esprimono ancora ufficialmente il loro sostegno a una soluzione a due Stati, ma nessun passo avanti è stato fatto dopo Oslo perché la strada venisse costruita. E intanto...

La questione dei rifugiati palestinesi

La penisola del Sinai restituita da Israele all’Egitto nel 1981, dopo una serie di accordi che costarono la vita all’allora presidente egiziano Anwar el-Sadat, ora sembra ritornare al centro dell’agone politico il problema dei rifugiati palestinesi continuò a essere una delle principali questioni in sospeso. Milioni di essi si trovano già in campi profughi in diverse nazioni limitrofe, aspettando una soluzione immersi nella miseria. Altri 2 milioni rischierebbero di far parte della diaspora palestinese. Intanto i palestinesi della Cisgiordania sono in fermento.

Fare i conti con la realtà

Certo è che questa guerra, come le sue numerose precedenti, prima o poi finirà. Israele dovrà tornare alla realtà, cosa per niente facile, e fare i conti con il fatto che milioni di palestinesi vivono nella loro patria. Sono moltissimi e si trovano in tutte le parti del Paese. L’unica via d’uscita dal ciclo di vendette e violenza è solo attraverso una giusta soluzione politica alla questione palestinese.Questa soluzione deve basarsi sui principi di giustizia e uguaglianza per entrambi i popoli. Tutto il resto è cronaca.

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