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I sindaci uniti per la pace

In 150 a Vicenza, con il primo cittadino di Betlemme

“Quello che ha distrutto il mio cuore, tre giorni fa, è stato il video di un ragazzo di 6 anni che portava in spalla la sorella di 3 anni e quello che stava filmando ha chiesto: «Ma dov’è la tua mamma? Dov’è il tuo padre?» E lui ha risposto: «Io non so». E quando gli hanno chiesto dove stesse andando, lui non sapeva cosa rispondere. E adesso io mi chiedo, dove sta questo ragazzo? E questo che accade purtroppo ogni giorno ai cittadini di Gaza, è diventata la normalità. Ogni giorno muoiono di fame quasi 15 bambini”. Le parole del primo cittadino di Betlemme, Maher Nicola Canawati, sono taglienti. Il suo lungo messaggio, consegnato di persona, a Vicenza, è stato centrale nell’appuntamento di sabato 26 settembre, quando 150, tra sindaci e amministratori da tutta Italia, si sono riuniti al Parco della pace nell’evento “I sindaci per la pace”, organizzato da Anci (l’associazione nazionale dei Comuni) come prima tappa di un percorso che prosegue il 12 ottobre con la marcia della pace da Perugia ad Assisi.

Canawati, appoggiando più volte la mano sul cuore e cercando con gli occhi gli sguardi della platea: “Betlemme è il luogo di nascita del Cristianesimo, ma anche della pace e speranza. Soltanto negli ultimi due anni la popolazione della mia città è diminuita da 36 mila abitanti, fino a 32 mila. Perché la gente sta lasciando Betlemme? La politica di occupazione israeliana è molto chiara: ci sono ormai 124 cancelli e checkpoint che circondano la mia città, con 28 colonie israeliane in cui vivono 180 mila coloni, a cui il Governo israeliano ha dato armi da poter usare. Vedo fucili in mano a ragazzini di 16-17 anni e, credetemi, loro li usano. I dipendenti comunali da quasi due mesi non percepiscono stipendi, ma continueranno sempre a lavorare, puliremo le nostre strade e continueremo a fare i lavori di manutenzione, per dare un supporto ai nostri cittadini. Il mio collega, il sindaco di Hebron, è stato arrestato tre settimane fa, e condannato a quattro mesi di prigione. Per cosa? La chiamano detenzione amministrativa, e sono molto sicuro che non ha fatto niente di più di quello che sto facendo io, cioè parlare. Probabilmente quando tornerò a casa magari arrestano anche me”.

Il primo cittadino di Betlemme conferma la sua presenza anche il 12 ottobre, durante la marcia PerugiAssisi, alla quale hanno aderito al momento 250 sindaci italiani: “Come amministrazioni un potere diretto sulle guerre non ce l’abbiamo, ma l’idea di avere qui tante fasce tricolori e tanti sindaci che questo messaggio lo lanciano insieme, io credo che abbia un grande valore, perché viviamo un tempo in cui le cose vanno dette forte e chiaro - sostiene Giacomo Possamai, sindaco di Vicenza -. Non è accettabile guardare quello che sta capitando. Credo che sia un impegno che dovrà continuare, magari coinvolgendo i sindaci europei, magari andando anche noi lì”. In questa direzione, la scelta del Parco della pace, inaugurato per l’occasione, non è secondaria: sorto sui 63 ettari dell’ex aeroporto Dal Molin, accanto alla base americana Del Din, l’area è frutto delle proteste del movimento No Dal Molin, che trasformarono l’opposizione all’espansione della base in un’opera di compensazione. Ma, dunque, come si fa organizzare la pace coinvolgendo le comunità e partendo dal basso? “Vedo colleghi di qualsiasi schieramento politico, però quando parliamo di comunità, quando parliamo di pace, quando parliamo di bambini, credo che non ci siano dubbi da che parte stare e credo che questo sia davvero un grande insegnamento - è stata la riflessione di Mario Conte, sindaco di Treviso e presidente di Anci Veneto -. Ricordo che noi rappresentiamo territori che, da un punto di vista della guerra, hanno dato molto. Il 7 aprile 1944, in 11 minuti, su Treviso caddero 2.600 bombe, con 1.600 morti, di cui 233 bambini. Parliamo di 81 anni fa. Sta a noi che rappresentiamo il presente cercare di coltivare la cultura del rispetto, del dialogo, con la speranza che si possa davvero arrivare a un mondo di pace”. Flavio Lotti, presidente della Fondazione Perugia-Assisi per la cultura della pace, ha aperto il suo discorso citando il film da poco uscito, La voce di Hind Rajab, la bambina palestinese di 5 anni e mezzo che l’anno scorso è stata ammazzata con 64 proiettili sparati in 6 secondi, mentre era al telefono per chiedere aiuto: “La pace non è un film. Quello che sta succedendo a Gaza è il crimine più feroce, più terrificante, più disumano del nostro secolo. Gaza è un po’ lo specchio del mondo in cui stanno crescendo i nostri figli e i nostri nipoti. Ben dieci anni fa, papa Francesco aveva cercato di scuoterci dicendo che era in corso una terza guerra mondiale a pezzi. Cosa abbiamo fatto in questi dieci anni? La verità è che siamo in un crinale veramente pericoloso. Ma io, cittadino, che cosa posso fare per la pace? La città è il luogo dove si esercita la cura della comunità. E allora mi piace dirlo con le parole di un sindaco, Giorgio La Pira, primo cittadino di Firenze. In un periodo in cui, anche in quel tempo, l’umanità era sul crinale della catastrofe universale, lui disse: «Le città sono chiamate a essere il candelabro dell’umanità» Perché siamo in una notte buia e allora le città devono davvero rappresentare una luce”.

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