venerdì, 09 maggio 2025
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Un aiuto ad attraversare le tempeste

XIX Domenica del Tempo ordinario

In queste due settimane ho scelto di proporre il commento ai brani evangelici delle domeniche 19ª e 20ª piuttosto che a quello di domenica 6 agosto, dove prevale la solennità della Trasfigurazione, in cui il testo evangelico è Mt 17,1-9, già commentato nella 2ª domenica di Quaresima.

Il brano della 19ª domenica del “tempo di tutti i giorni” segue l’episodio della prima moltiplicazione dei pani. E inizia con un termine forte e non usuale nei rapporti tra Gesù e i discepoli: li «costrinse». È all’imperativo, è un ordine deciso che impone un’azione. Forse in questo “ordine” vi è la reminiscenza di quanto annoterà Gv 6,14-15: Gesù, «sapendo che venivano a prenderlo per farlo re», vuole evitare che i suoi si lascino coinvolgere e “ordina” loro di andarsene.

Da soli, tormentati dalla tempesta. In ogni caso, la situazione che si viene a creare è che i discepoli si trovano soli sulla barca al largo, in preda a vento contrario e ad acque agitate. Nella tradizione biblica, il mare agitato è simbolo dello strapotere del male. Anche qui, il verbo usato è forte: la barca è «tormentata» dalle onde. Mentre la notte è più profonda, prima che si possa sperare nell’alba, è Gesù che va a raggiungerli, a costo di attraversare a piedi il mare in tempesta. Le reminiscenze bibliche portano verso una cristofania teofanica, cioè una situazione in cui si manifesta che in Gesù è presente Dio stesso (vedi Gb 9,8: Dio solo cammina sulle onde del mare; Sal 77,20: i sentieri di Dio sulle grandi acque), come nel racconto della trasfigurazione sul monte (Mt 17,1-8).

Chi è Gesù? I discepoli gridano di paura perché temono un fantasma, un’apparizione di minaccia. Gesù li richiama a “farsi coraggio” perché “è lui”: coraggio e paura sono separati da quel «sono io». Ma chi è lui per loro? Certo, è Gesù e quindi non una presenza minacciosa, e alla fine lo riconosceranno in una sua intimità con Dio tale da far risuonare nel mezzo della tempesta in quel «sono io» di Gesù il Nome stesso dell’Altissimo (vedi Es 3,14). Anzi, sarà proprio l’esperienza vissuta che farà loro intuire il volto più profondo e vero di Gesù, letteralmente Dio-salva.

Se sei tu... Ma questo accade man mano: l’intervento di Pietro è un “mettere alla prova” quel «sono io»: “«Se sei tu» dammene un segno, rendi anche me capace di fare quel che fai tu. E fallo con un «comando», che mi faccia oltrepassare l’impossibile del porre il piede sulle acque senza affondare. Allora, avrò la prova che sto venendo proprio da te”. Gesù accetta la provocazione: «Vieni!» è al modo imperativo. E Pietro si fida e scende dalla relativa sicurezza della barca obbedendo a quel comando. Ma se Gesù si è impegnato nel suo essere davvero lui, Dio-salva, rendendo possibile il “camminare sulle acque verso di lui”, Pietro fallisce quando, piuttosto che guardare a Gesù, si lascia “distrarre” dall’incontro: si smarrisce nella forza del vento e affonda nell’abisso. Tuttavia, ancora sa ritornare a ciò che è essenziale, si aggrappa alla relazione con il suo «Signore», Dio-salva. E «subito» lui risponde, con il suo “braccio forte” che viene usato non per sconfiggere i nemici ma per salvare, afferrando colui che affonda con tutta la forza necessaria ad estrarlo dalle onde. Gesù a quel punto rimanda a Pietro la sua provocazione: “Tu volevi mettere alla prova me, e invece hai messo alla prova te stesso e hai fallito: non sono io ad essere messo in dubbio, ma la tua fede. Tuttavia, ti dimostro che sono proprio io, Dio-salva, nel mettermi a servizio non della tua presunzione, ma della tua vita”. Salgono insieme sulla barca, cessa il vento, e il riconoscimento dell’identità più profonda di Gesù si compie da parte dei discepoli nel gesto del prostrarsi davanti a lui e nell’affermazione che sarà quella della comunità cristiana: «Tu sei il Figlio di Dio», ripresa da Pietro, poco più avanti, a Cesarea di Filippo in risposta alla domanda di Gesù.

Attraversando tempeste grazie a lui. Abbiamo quindi, al centro di questo episodio, una dinamica di progressivo riconoscimento del volto più vero di Gesù: non soltanto il Signore della tempesta, secondo le immagini più potenti della storia di Israele e di tante altre tradizioni religiose di quel tempo, ma soprattutto il Signore che salva chi si affida a lui (realtà che emerge già nel racconto della tempesta sedata in Mt 8,23-27), colui che mette il proprio potere sulla tempesta a salvezza di chi nella tempesta è tormentato e sta affondando.

E lo fa non eliminando le tempeste dalla vita, ma facendosi presente fin dentro la tempesta. Lo sperimenterà Gesù stesso sulla croce, quando verrà inghiottito dalla tempesta della morte: il Padre, nella forza dello Spirito Santo, lo metterà in grado non di evitarla, ma di attraversarla. E su quella via che attraversa ogni burrasca si viene messi in grado di camminare solo se seguiamo lui, e ci affidiamo al suo amore per essere resi capaci di compiere man mano un passo oltre. Verso di lui, e quindi verso i nostri fratelli e sorelle, come noi preda di terrori in questo mondo tormentato da tempeste mortali. Senza spaventarci troppo della pochezza della nostra fede, sempre pronti a gridare di nuovo: «Signore, salvami! Signore, salvaci!» e a sperimentare la sua compagnia che custodisce noi, la Chiesa, l’umanità e il mondo intero, nell’attraversamento di ogni mare in burrasca verso la sponda, più in là.

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