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Alberto Pellai: C’è una cornice di violenza intrafamiliare praticata e ancora tollerata

Il medico e psicoterapeuta analizza le dinamiche per cui la preoccupazione di possedere, anziché di condividere, rischia di instaurare una pericolosa gerarchia di potere
24/11/2023

Ogni volta che compare sui media, il sorriso di Giulia Cecchettin emoziona: mai come in questo tremendo 105° caso di femminicidio in Italia in questo 2023 l’opinione pubblica si è sentita coinvolta, si è preoccupata dopo la sparizione della giovane di Vigonovo e del fidanzato Filippo Turetta, ha mantenuto il fiato sospeso durante la settimana di assenza, infine si è commossa per il barbaro assassinio e ha sentito la rabbia montare per un gesto – l’ennesimo – di una violenza estrema, razionalmente inconcepibile, eppure reale.

Alberto Pellai è medico e psicoterapeuta, ha una lunga esperienza di accompagnamento di adolescenti e giovani ed è autore di molti libri e articoli importanti sul tema. “In molti casi di violenza di genere, il sostrato culturale ha un ruolo centrale – spiega –. Oggi si percepisce di più la preoccupazione di possedere rispetto a quella di condividere, nelle relazioni rischia di instaurarsi una gerarchia di potere e quindi l’idea di stare sì con una persona, a patto che si comporti secondo i miei desiderata. Il film di Paola Cortellesi «C’è ancora domani» racconta bene come questa cornice di violenza intrafamiliare sia tuttora una pratica subita e tutto sommato tollerata nel contesto socioculturale.

Che cosa può portare un giovane uomo a diventare così violento?

E’ complesso esprimersi su una persona che non si conosce. L’impressione è che si tratti di un giovane uomo poco individuato e molto isolato, senza grandi riferimenti affettivi, un po’ perso nella vita, con una percezione di sé tutta concentrata nella relazione con Giulia. Molto spesso dietro episodi come questo si cela una spiccata fragilità emotiva, l’incapacità di affrontare il dolore, l’abbandono, la paura, la solitudine, tutte sfide evolutive con cui dobbiamo confrontarci nel nostro percorso di vita. Forse i giovani di oggi sono più protetti, vivono una felicità costruita già più sull’obbedienza che sul conflitto, c’è poca rivolta nella loro vita, un passaggio che contribuisce a far di me quello che io voglio e non quello che gli altri desiderano.

C’è una questione specifica che riguarda il maschio?

La fragilità emotiva è un tratto dell’età evolutiva e non dovrebbe avere un genere, eppure osserviamo ogni giorno come le ragazze siano più capaci di chiedere aiuto e di rimanere in contatto con le loro emozioni, anche quelle negative. I maschi spesso sono trascinati da un terapeuta, oppure vengono i genitori chiedendo cosa possono fare per loro. In alcuni casi i padri temono che i figli chiedano aiuto, sopravvive lo stereotipo secondo cui il maschio dovrebbe arrangiarsi da solo.

La politica parla di progetti educativi in ambito scolastico. E’ di questo che abbiamo bisogno?

Abbiamo bisogno di maggior competenza educativa a tutti i livelli. I genitori sono sempre quelli, ma il mondo è cambiato molto, oggi le sfide sono moltissime e provengono anche dalla vita virtuale di bambini e ragazzi di cui non comprendiamo molto. E’ importante che l’adulto non sfugga alla propria responsabilità educativa. In questo senso il padre di Giulia ha dato una dimostrazione magistrale anche nella tragedia.

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