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Domenica delle Palme e della passione del signore: lo “spreco” di una vita che si fa dono

Il grido d’angoscia del Figlio, l’ascolto muto del Padre. Il racconto della Passione secondo Marco si snoda tra due presenze femminili, discepole - testimoni silenziose presenti fino alla fine

Nel vangelo secondo Marco, la passione e morte di Gesù sono il culmine della narrazione preparato fin dai primi contrasti con le autorità religiose di Israele (Mc 3,6). Rilevo solo alcuni passaggi propri di questo racconto, senza alcuna volontà di esaurire la ricchezza dell’annuncio di questa domenica.

Presenze femminili all’inizio e alla fine. Una prima sottolineatura: tutta la passione di Gesù è racchiusa tra due “presenze femminili”. All’apertura, la donna senza nome - e ciascuna o ciascuno potrà mettervi il proprio -, una donna che fa un gesto “esagerato”: spezza il vasetto di alabastro, già pregiato di per sé, versando sul capo di Gesù senza risparmio il “grande valore” di tutto il “profumo di puro nardo” che conteneva. Gesù l’accoglie come unzione preziosa, e la loda riconoscendo il senso profetico del gesto, annuncio della sua morte. Valore sprecato o valore donato? I discepoli gridano allo “spreco”, per la donna chiaramente è puro dono. Da notare che “messia” vuol dire “consacrato con l’unzione”, ed era sottinteso che il Messia fosse Dio stesso a consacrarlo: l’unica volta in cui Gesù viene “unto” lo è ad opera di una donna, sulla soglia della sua morte da maledetto. Dopo la morte, sono ancora citate presenze femminili: Maria di Magdala e Maria madre di Ioses, insieme al gruppo di donne «che lo seguivano e lo servivano». Sono azioni che qualificano il discepolo (vedi il testo di domenica scorsa, Gv 12,26): qui si aggiunge il “salire con lui a Gerusalemme”, ovvero seguirlo fino alla fine. Cosa che i discepoli maschi non fanno. Anzi, in Marco vi è l’accenno al “ragazzo” che “fuggì via nudo”: lascia tutto pur di fuggire, al contrario dell’impegno del discepolo che lascia tutto per seguire... Maria di Magdala e l’altra Maria sono le discepole - testimoni che invece rimangono fino alla fine, fino a sepoltura compiuta.

La tenebra in cui è presente Dio. Tra queste “presenze femminili” si snoda il racconto della passione secondo Marco, nel progressivo compiersi dell’intento delle autorità religiose di eliminare chi potrebbe creare sconvolgimenti indesiderati e nel progressivo abbandono dei discepoli, finché Gesù rimane solo in mezzo all’ostilità generale. Questa ostilità è la protagonista delle prime tre ore (dalle 9 alle 12) in cui Gesù rimane appeso alla croce. Le altre tre ore prima della morte (da mezzogiorno alle 3 del pomeriggio) le domina invece la tenebra. Il termine usato, secondo alcuni autori, rimanda alla “nube oscura”, segno della presenza divina durante l’incontro con Dio al Sinai (Es 20,21; Dt 5,23-24), e poi al momento della consacrazione del Tempio in Gerusalemme (1Re 8,12). Sarebbe anche qui affermazione dell’esserci di Dio, presenza che “riempie il mondo”. In Marco vi sono altri due momenti in cui Dio “irrompe sulla scena”: il primo è al battesimo di Gesù, il secondo (anche qui collegato a una nube che oscura la visione) al momento della trasfigurazione. In entrambi i momenti la presenza fa udire la propria voce, la prima volta rivolta a Gesù soltanto, la seconda ai tre discepoli. In entrambi i casi dichiara che Gesù è il “Figlio amato”. Qui invece la presenza nella tenebra non parla. E’ Gesù che alla fine delle tre ore di oscurità prorompe in un grido “a gran voce”, un grido che dichiara tutta la sua solitudine e il suo sentirsi abbandonato, perfino da Dio che pure è presente. Ancora “un forte grido”, poi la morte.

Dio muore gridando il dolore di ogni morte. Solo dopo la morte si leva una voce, quella di un pagano, il centurione, che vedendolo morire così lo confessa “Figlio di Dio”. Ed è l’unico uomo in tutto il Vangelo secondo Marco a dichiararlo tale. E’ il culmine a cui tende l’intero percorso evangelico: solo sotto la croce, a morte compiuta, tocca decidersi se riconoscere in lui l’espressione più piena e definitiva, il volto più autentico di Dio. Ma Gesù non sentirà quella voce, che si alza quando ormai l’irreparabile è avvenuto. Il velo del Tempio si squarcia, a riprova della verità della sua pretesa di essere ormai lui la via per l’incontro con Dio aperto ad ogni uomo e donna. Ma lui è morto, gridando il proprio sentirsi abbandonato. Nel compiersi della morte, perfino Dio si ritrova muto. No, nella morte, Dio ancora grida il dolore di ogni vivente che la morte uccide. E qualcuno riconosce che in maniera sconvolgente lì Dio rimane presente. Come un corpo che muore nudo gridando nell’oscurità.

Tutto questo è presentito nel gesto d’unzione sovrabbondante donato da una donna senza nome e senza parole; tutto questo è consegnato all’attenzione di donne - discepole, anch’esse senza parole.

Ascoltando, oggi. In che cosa ci interpella oggi questo Dio che muore gridando nelle tenebre della presenza di Dio? e che affida tale avvenimento alla custodia alla cura alla testimonianza, allora ben poco considerata credibile, di donne silenziose presenti fino alla fine? Forse a farci attenti a nostra volta al grido muto e straziante che sale da troppe stragi, nei deserti del mare e della terra, nei conflitti atroci senza misura né regola, nelle disuguaglianze che uccidono speranze di giustizia e di futuro, nei mutamenti del clima che condannano all’esodo popolazioni intere. Forse a chiederci se sia spreco il riversare attenzione e cura verso chi è più fragile, più debole, ferito, o non sia invece pur sempre fragile dono, ricco e prezioso della nostra umanità... Ancora una volta ascoltiamo il racconto di quella vita sprecata/donata, ancora una volta ascoltiamo la nostra vita e quella di coloro che incontriamo, anch’esse sul crinale del rischio tra lo spreco e il dono. A fare la differenza, è in parte il nostro cuore, in parte più grande l’affidarsi all’opera dello Spirito Santo, unico fiato silenzioso nel passaggio di Pasqua, teso allo spasimo tra il Figlio che muore gridando la propria angoscia di abbandonato e il Padre che l’ascolta muto nel silenzio che morte impone. Lo Spirito Santo, colui che è dono donato e che si dona, apra la nostra vita al dono della vita di Dio.

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