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Vivere per il Signore

Quella di don Edy è stata una grande perdita, non solamente per i suoi familiari, per la mamma e i fratelli, ma anche per la diocesi di Roraima e per la nostra Chiesa trevigiana
11/01/2024

La morte di don Edy ha sconvolto tutti, sia noi sacerdoti che i laici e le comunità cristiane che egli ha incontrato e servito nella sua vita. “Un innamorato di Cristo” lo ha definito il vescovo Michele nella sua omelia. Un prete che per il suo modo di fare e di essere, per la sua vitalità e per quel particolare carisma che lo contrassegnava, riusciva a esercitare un certo fascino in chiunque lo incontrasse e avesse a che fare con lui.

Quella di don Edy è stata una grande perdita, non solamente per i suoi familiari, per la mamma e i fratelli, ma anche per la diocesi di Roraima e, evidentemente, per la nostra Chiesa trevigiana che nel volgere di poco tempo si è vista strappare per malattia o per morte improvvisa, altri sacerdoti poco più che cinquantenni: circa due mesi orsono don Davide Schiavon, un anno fa don Raffaele Coden e qualche anno prima don Pierluigi Guidolin.

La vita non ci appartiene

Nella messa sono state riprese più volte le parole dell’apostolo Paolo ai romani: “Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore”. Parole quanto mai appropriate per quella che è stata la storia vocazionale e la vita presbiterale di don Edy. Ma anche provocanti per ogni sacerdote che, come lui, ha scelto in risposta a una chiamata del Signore di far dono della propria vita al servizio di Dio e degli uomini. Quando un giovane decide di accedere al sacerdozio sa bene, e lo sperimenterà sempre più nel corso degli anni, che in qualche modo la vita gli viene “sequestrata” e che non gli appartiene più. L’ha rimessa, attraverso il vescovo, con un atto di obbedienza, nelle mani del Signore e della Chiesa. Ma anche in quelle dei fedeli laici e di tutte quelle persone, credenti e non credenti, alle quali è stato inviato ad annunciare e a testimoniare il vangelo della carità di Cristo e la misericordia del Padre.

Nessuno deve vivere per se stesso

Per un prete quel “non vivere più per se stesso” è alquanto intrigante perché lo costringe a una verifica continua di come e dove spende il suo tempo, impiega le sue risorse ed energie e a capire dove effettivamente stia il suo cuore. Papa Francesco ammonisce spesso che “un prete non è prete per se stesso, ma per il popolo”. Questo comporta inevitabilmente l’assunzione di un certo stile di vita, una condivisione con la comunità e un esercizio del ministero a tempo pieno e senza riserve.

Sappiamo bene che anche per noi preti è sempre in agguato la tentazione di ritagliarci, più del necessario, spazi, tempi, spese e iniziative “per noi stessi” o di gestire il nostro ministero “altrimenti”, lasciandoci condizionare dalla diffusa mentalità sempre meno evangelica e sempre più mondana e pagana. Può esserci sempre il rischio di scivolare lentamente verso uno stile di vita “rilassato”, forsanche un po’ “borghese”, assai lontano da quello di tante famiglie delle nostre parrocchie. Papa Francesco, con parole provocanti, dice che un prete non può permettersi mai di vivere come uno scapolo. Purtroppo, se non si vigila, questo potrebbe anche inavvertitamente accadere, perché possiamo disporre di un dignitoso sostentamento, di una sicurezza per la vecchiaia e, soprattutto, non abbiamo una nostra famiglia con dei figli di cui farci carico e darci pensiero.

Di fronte a certe scelte o a certi modi di vivere, è bene ricordarci che tutto quello che facciamo assume sempre per la gente un valore di segno.

Di contro, quanto detto non deve portare alcuno a sminuire la necessità e il dovere di trovare tempi e momenti di riposo e di svago, per rigenerarci, per prenderci cura della salute fisica, spirituale e psicologica. Il peso del ministero è oggi troppo gravoso per esimerci dal dare importanza a queste cose o per sottovalutarle.

Preghiera fiduciosa

La morte di un prete ancora giovane, come quella di don Edy, suscita nella gente che lo ha conosciuto, specialmente nei giovani, un grande dispiacere e un senso di vuoto. Anche nel presbiterio che, oltre ad essere toccato negli affetti fraterni, si vede privare di un confratello e di un valido operaio del vangelo il quale, per la crisi generale delle vocazioni, potrà essere difficilmente sostituito da qualche altro giovane sacerdote. Per questo come credenti e come comunità cristiane non possiamo esimerci dal porci, oggi molto più di ieri, il problema delle vocazioni sacerdotali e religiose e di fare proposte coraggiose e credibili ai giovani. Soprattutto, pregando con fiducia e insistenza il padrone della messe affinché continui a mandare operai e convertendoci a quello stile di vita evangelico fatto di dono di sé, sacrificio e sobrietà che, purtroppo, sta sempre più affievolendosi nelle nostre famiglie e nella proposta di vita rivolta alle nuove generazioni.

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