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VI domenica del tempo ordinario: La compassione e quel tocco che salva

La guarigione del lebbroso e il contatto potente nell’amore. Due verbi compaiono, in modo quasi unico, al cuore della trasformazione: volere e potere. “Se vuoi, puoi purificarmi!”, “Lo voglio, sii purificato!”. Gesù parla e agisce con autorità, inaugurando relazioni nuove

Uscito Gesù da Cafarnao, avviene un incontro con un lebbroso, un uomo la cui malattia rendeva impuro, condannato a essere escluso dalle relazioni umane, a vivere ai margini dell’abitato se non addirittura «in luoghi deserti». Il contagio di cui la malattia era portatrice e la mancanza di cure efficaci generavano un vero e proprio tabù, cioè la proibizione dei contatti rafforzata dal divieto religioso (Lv 13,1-17; Nm 5,1-4). Come per altre malattie, era facilmente considerata un castigo di colpe personali. Per questo, in caso di guarigione, si prevedeva una procedura di purificazione che andava avallata da un sacerdote competente (Lv 14).

Se vuoi - Lo voglio. Il dialogo tra il lebbroso e Gesù è minimalista, sottolinea l’estrema essenzialità del fatto, che si concreta in un con-tatto in cui non è Gesù a venir “contagiato” dall’impurità del lebbroso, ma è il lebbroso a venir “purificato” dalla forza di vita scaturita da Gesù. E Gesù gli intima di completare il processo: la purificazione dovrà essere constatata secondo le regole, affinché quella guarigione produca fino in fondo il suo effetto: la reintegrazione di quell’uomo nella sua piena identità di persona capace di relazioni vitali.

Due verbi compaiono, in modo quasi unico (altrove in Marco solo in 10,51) al cuore della trasformazione: volere e potere. «Se vuoi, puoi!» «Voglio, sii purificato!». E’ un confronto impetuoso, Gesù si prende una responsabilità impegnativa rispetto a quell’uomo, rafforzata da un gesto proibito. Si assume l’autorità di “renderlo puro”, tanto che si permette un contatto con il quale riabilita le relazioni con lui. E questo ben oltre i ruoli previsti dalla Torah per queste occasioni: ritorna ciò che abbiamo già sentito, Gesù parla e agisce «con autorità» ovvero con un «potere» che è potere di salvare. Inaugurando così le relazioni nuove generate dall’avvicinarsi del Regno di Dio, in cui non c’è più colpa che escluda, ma misericordia che rigenera persone e rapporti. A suscitare tale forte presa di posizione contro quel male, un verbo che ritroviamo frequente nel Nuovo Testamento: «ne ebbe com-passione». E’ lo “sconvolgersi delle viscere”, “dell’utero”, è il sussultare della madre per il neonato in grembo, è la scelta di Gesù di patire-con coloro che vivono vite rovinate. E’ verbo di parto, che suscita prese di posizione forti e decise a favore di chi è vittima ferita nel corpo e nella vita. E dona vita, a costo di sconvolgere “lo stato delle cose”.

Un rovesciamento di ruoli. Il seguito del racconto interroga l’ascoltatore. Il “purificato” è trattato in modo brusco e autoritario, gli si proibisce di divulgare il fatto, lo si lega alle “prescrizioni di Mosè”, e viene “spinto via” verso una ritualità che finalmente lo riammetta al consorzio civile, ritornato pienamente uomo. E costui invece fa tutto il contrario, con altrettanta determinazione, tanto che si rovesciano i ruoli: Gesù è “costretto fuori” dai luoghi abitati, mentre il guarito se va in giro ad annunciare “la parola dell’accaduto”. Certo è che l’incontro con il lebbroso è diretta conseguenza della decisione di Gesù di «andarsene altrove» rispetto a Cafarnao, ma questa scelta provoca conseguenze imprevedibili, come imprevedibili sono gli incontri da essa generati.

Un cammino di riconoscimento. Ritorna anche l’altra scelta di Gesù, che sembra non volere che si renda nota la sua azione e la realtà profonda che ne è all’origine. L’evangelista propone un percorso che ci conduce man mano a riconoscere chi sia davvero Gesù, e che salvezza Dio ci offra grazie a lui. Accompagna i suoi ascoltatori per tutto il cammino necessario finché noi uomini e donne possiamo riconoscere quel che Dio va dicendo: «Questi è mio Figlio» (Mc 1,11; 9,7): non secondo i nostri schemi, deformati da storture del male (Mc 1,24), ma nel momento più “incredibile”, sotto la croce (Mc 15,39), lì dove pienamente si manifesta la sua definitiva capacità di amare – fonte di ogni salvezza.

Un’esperienza di purificazione. Quali lebbre, quali sfregi della nostra umanità, che separano ed escludono, oggi si ripropongono nel convivere sociale e fin nelle stesse relazioni ecclesiali? Chi consideriamo indegno di umanità, irrecuperabile nelle sue convinzioni, atteggiamenti, scelte di vita, al punto che non vale più investimenti di com-passione, al punto che non consideriamo più degno di “sconvolgimento delle viscere” e di interventi di solidarietà profonda e compromettente?

La lista si può far lunga, appesantita da stanchezze e da indifferenze, da paure e pregiudizi.

Ma dove attingere fiato e viscere capaci di contorcersi a partorire gesti di vita, di riconoscimento reciproco, di relazioni ri-generate? Una volta ancora credo, per noi cristiani, non ci sia alternativa: la sorgente vitale rimane l’esperienza di incontro con Dio-salva, con colui che per primo, e a prescindere, prova per noi un sussulto di com-passione, un impeto di con-tatto potente nell’amore. Ancora a questo incontro ci è chiesto di tornare, a questa voce e a questo tocco che desidera ardentemente, impetuosamente, fortemente, ri-generare in noi il nostro volto più vero, quello che Dio stesso continuamente modella nel profondo della nostra umanità.

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