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Cop30: l’ottimismo del cuore a 4Passi festival

Incontro con Sara Segantin: Secondo la giornalista che ha partecipato all’evento sul clima a Bélem, in Brasile, il risultato positivo è dato dal risveglio della società civile, non certo dai negoziati
27/11/2025

Domenica 23 novembre l’auditorium Santa Caterina di Treviso era gremito per ascoltare la giornalista Sara Segantin che, interrogata da Marco Motta di Rai Radio3 Scienza, raccontava le ultime novità della Cop30 (Conference of parties) svoltasi a Belém, nel nord del Brasile, ai margini della foresta amazzonica. Titolo dell’evento, organizzato dal Festival 4passi in collaborazione con Legambiente Treviso, è “E se la pace passasse dal clima?” e forse in qualche modo Belém ce l’ha dimostrato. Questa, almeno, è l’interpretazione che colgo dalle parole di Sara, con cui ho parlato nel suo viaggio di ritorno dal Brasile.

Con che spirito stai tornando da questa Cop30, il più grande appuntamento dei leader mondiali sui cambiamenti climatici?

Torno con un contrasto interiore: da un lato la delusione per un multilateralismo che di fatto è mancato, dall’altro il coraggio di un movimento di società civile e dei Paesi del Sudamerica che si è risvegliato.

Alla Cop29 di Baku ci si era lasciati con qualche speranza. È stato fatto qualche passo avanti di quelli sperati l’anno scorso?

Abbiamo iniziato la Cop di quest’anno con una cover che recitava “Transitioning away”, però, alla fine, non c’è stata la tanto attesa “road map” di transizione dalle fonti fossili e il documento finale non è stato firmato veramente all’unanimità, né citava apertamente i combustibili fossili. I Paesi Brics (quelli delle economie emergenti) e quelli del Golfo, ma soprattutto Russia, Cina e India, hanno minato gli accordi e alcuni stati Ue (più precisamente Italia, Polonia e Ungheria) li hanno rallentati. È stato lanciato un Global Implementation Accelerator molto vago e su base volontaria che un po’ smonta il senso stesso di queste conferenze planetarie. Inoltre, a Belém si è confermato l’impegno di triplicare i fondi per l’adattamento climatico, ma dal 2030 fissato a Baku si è prorogato al 2035. Dobbiamo, però, dirci chiaramente che uscire da questa Cop con l’accordo sperato sarebbe stato anche più di un miracolo, visto il momento storico globale tragico, segnato da guerre, dalla messa in discussione dei principi fondanti dell’essere umano e dell’ambiente, nonché dalla crisi oggettiva delle democrazie.

Però stai tornando anche con un po’ di coraggio...

Sì, direi che c’è l’ottimismo del cuore e il pessimismo della ragione. Non intendo indorare la pillola, ma bisogna riconoscere che l’importanza di questa Cop non si è tenuta sul piano dei negoziati, quanto sul risveglio della società civile, quel movimentismo mosso attorno a Gaza e al Sudan e che ha visto una partecipazione immensa a Belém, con persone da tutto il mondo manifestare accanto alle comunità indigene e sostenere Stati che fino a questo momento giocavano nell’ombra; sabato ci sono state 70 mila persone, c’è stato l’arrivo delle barche della Amazon flotilla, imbarcazioni dal Centro e Sudamerica che hanno navigato fino alla Cop con bandiere palestinesi e brasiliane. L’interesse mediatico in generale in questo 30° appuntamento è stato più alto del solito.

Le immagini delle manifestazioni delle comunità indigene hanno fatto il giro del mondo, ma hanno avuto un ruolo importante anche nei negoziati?

La loro presenza segnava anche visivamente un cambiamento nella Cop, con persone in giacca e cravatta accanto a uomini a torso nudo con copricapo di piume. Anche le comunità indigene hanno parlato di numeri e soldi, ma soprattutto hanno messo sul tavolo un nuovo modello di vita, che mette in discussione il nostro modo di concepire il rapporto con la terra ed evidenzia un sistema che sta fallendo. Quei popoli sono il 5% della popolazione mondiale ma hanno “in carico” l’80% della biodiversità di questo pianeta. Per loro proteggere la foresta significa proteggere noi stessi, noi siamo la foresta, non è solo la vita che si basa sulla foresta, quindi le loro leggi non distinguono il bene dell’uno dal bene dell’altro, e così dovremmo fare tutti. Si è parlato della mancata promessa di rallentare la deforestazione, si è parlato dello stretto legame che ha con il mercato mondiale della carne. Loro rivendicano delle istanze da leader politici e non da residuo folkloristico, hanno una conoscenza d’avanguardia, chiedono il riconoscimento legale dei loro territori, nonché finanziamenti e fondi per custodire la biodiversità e la tutela dei difensori dei diritti umani. Proprio nei giorni della Cop è stato assassinato l’ennesimo attivista, Vicente Fernandes Vilhalva, ma al tempo stesso Lula ha riconosciuto altri 10 territori indigeni.

L’Europa si è confermata un traino per la transizione globale o sono lontani i tempi di Cop19 a Parigi?

L’Europa si è dimostrata vecchia e debole, frammentata nella sua capacità di potenza da Paesi come il nostro che, per esempio, hanno bloccato l’adesione dell’Ue al prossimo incontro, indetto ad aprile in Colombia. L’Italia a questa Cop ha avuto un atteggiamento molto poco chiaro e in certi casi ha palesemente remato contro, schierandosi a fianco a Stati come l’Arabia Saudita, di fatto dimostrando una forte dipendenza dagli Stati Uniti. La Spagna, invece, si conferma uno dei traini per questa Europa del cambiamento, e sarà presente in Colombia insieme ad altre Nazioni dell’Ue.

Il prossimo appuntamento “ufficiale” sarebbe Cop31, che si terrà in Turchia con presidenza australiana. Quindi cosa succederà esattamente in Colombia?

È ancora presto per dirlo, ma la Colombia, insieme a diversi altri Stati del Centro e Sudamerica, così come piccoli Stati insulari negli oceani, hanno lanciato un nuovo appuntamento tra sei mesi, per quei Paesi che vogliono impegnarsi seriamente in un piano d’uscita dalle fonti fossili. Di fatto è un mondo spaccato a metà tra progresso e conservazione, ma Cop30 ha messo in luce società civile e nuovi Paesi, finora marginali, che si stanno facendo portavoci delle istanze mondiali: questa è una scintilla importante, per fortuna spalleggiata anche da diversi Stati europei. Un Davide contro Golia, certo, ma ci dimentichiamo spesso che alla fine ha vinto Davide.

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