venerdì, 11 ottobre 2024
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Tra i migranti sopravvissuti alla rotta balcanica

Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, da otto anni, scendono per strada, prima a Pordenone e poi a Trieste, ogni sera senza sosta. Incontrano i migranti che passano per l’Italia, diretti verso altri Paesi europei. Arrivano in condizioni fisiche al limite della sopravvivenza: la piazza è diventata il luogo della cura, non solo fisica

Sono otto anni che Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi scendono per strada e in piazza, prima a Pordenone poi a Trieste, ogni sera, senza sosta. Incontrano i migranti che attraversano le nostre città del nord est, diretti verso Francia, Germania, Inghilterra. Vengono dalla rotta balcanica, dopo anni di viaggio da Afganistan, Pakistan, Siria, Iraq, Bangladesh…
L'ultimo tratto, da Bihac in Bosnia attraverso i monti e i boschi della Croazia fino a Trieste l'hanno fatto a piedi, rischiando di morire attraversando un fiume o scivolando in un dirupo, di essere intercettati dalla polizia, torturati e riportati indietro. Quelli che arrivano in piazza della Libertà, davanti alla stazione dei treni del capoluogo friulano, hanno vinto il loro “game” e ne portano i segni incisi nella carne.
“Da qui in qualche modo acquisteranno un biglietto verso Milano, direzione Marsiglia e Lione oppure Torino, la Val di Susa e poi il Nord - racconta Gian Andrea Franchi, 84 anni, insegnante di filosofia in pensione -. Sanno che se esibiscono il titolo di viaggio valido nessuno chiamerà la polizia, a questo punto non c'è alcuna convenienza”.

Avevo fame, sete, ero straniero….
“Già dal 2015, quando abitavamo a Pordenone, abbiamo cominciato ad accorgerci dell'immigrazione che giungeva dalla Rotta Balcanica passando per l’Austria, prima della chiusura di Idomeni in Grecia. Era diversa da quella a cui eravamo abituati, di persone che venivano per cercare lavoro e abitare nel territorio”.
Questi profughi arrivavano (e tutt’ora è così, anzi peggio) in condizioni fisiche al limite della sopravvivenza e da Paesi del mondo dove non “c’è possibilità di essere rispettati”, per mutuare le parole di uno di loro. “Non potevamo voltarci dall’altra parte e, soprattutto, nell’avvicinarci dovevamo partire dalla soddisfazione dei bisogni primari - prosegue Franchi -. Questi ragazzi, queste famiglie, giungono affamate, ferite gravemente, con le vesti stracciate, le scarpe tenute insieme con lo spago”.
Ecco allora che un «non luogo» di frettoloso passaggio, verso la stazione dei treni o dell'autobus, è diventato il luogo della cura. A volte sono una decina, altre anche più di cinquanta in una sera. Bambini piccoli attaccati al seno della madre, ragazzini soli di nemmeno 14 anni, giovani, tutti in cerca di salvezza.
“Incontriamo «corpi di dolore», offesi, denutriti, assetati, affamati, ricoperti di terra, fango, sudore, ferite, vesciche - racconta Lorena, 67 anni, psicoterapeuta in pensione, in passato anche giudice onorario al Tribunale dei minorenni di Trieste, nemmeno un accenno di commiserazione nella sua voce -. Chi arriva è un sopravvissuto. Di tanti altri non conosciamo il destino a cui sono andati incontro attraversando le ripide montagne della Croazia, della Slovenia, del Carso, i suoi fiumi vorticosi, i boschi selvaggi”.
Molti sono morti cadendo in una buca di dolina, o annegando in un corso d’acqua mentre cercavano di scappare dalla polizia che li inseguiva, o impallinati come cervi, oppure semplicemente scomparsi senza lasciare traccia, se non nel disperato appello di madri, figli, fratelli, sorelle che li cercano invano.
“E’ un metalinguaggio profondo quello che si genera curando le ferite dell’altro”, che nemmeno i mesi più “duri” della pandemia ha fermato.

La linea d'ombra
Ogni giorno il carrettino verde della cura, pieno di bende e pomate, si fa testimone di questi corpi offesi. “All’inizio eravamo noi due, poi anche attraverso i social si è formato un piccolo gruppo di triestini e non triestini che ci danno una mano”, raccontano i due coniugi.
Arrivano gruppi e singoli da tante parti del Nord Italia, anche da Treviso ci sono degli “amici” che periodicamente vanno nella “piazza del mondo”, così è stata ribattezzata.
“I contributi economici che abbiamo cominciato a ricevere dalla generosità della gente non potevano transitare su conti nostri. E’ stato questo, banale ma fondamentale, il motivo per cui abbiamo costituito l’organizzazione di volontariato Linea d’ombra”. Nel frattempo, come talvolta accade a chi dedica la vita a situazioni di fragilità con dedizione e “rompendo gli schemi”, Franchi e Fornasir sono stati accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, associati a passeur e traghettatori di uomini. Il fatto concreto: avevano ospitato nel 2021 in casa per una notte una famiglia kurda con due bambini piccoli. Calunnie, che si risolveranno dopo 11 mesi con l’archiviazione, “non emergendo elementi che consentano la sostenibilità dibattimentale dell’accusa - si legge nella nota a commento -. Questa archiviazione dimostra con chiarezza l’intenzione politica dell’indagine che ha portato alla nostra denuncia”.
Per il resto, la polizia li lascia fare, “fanno finta di non vederci, finché gli togliamo le castagne dal fuoco. Gli immigrati della rotta balcanica sono qui solo di passaggio”.

Tortura scientemente messa in atto
Come si fa, ogni giorno, 365 giorni all'anno, da 8 anni, a stare davanti, avvicinare, toccare curare, questa umanità che ti sbatte davanti agli occhi tutta l'ingiustizia di cui l'umanità è capace?
“Lo facciamo semplicemente perché non possiamo vivere senza farlo - risponde Lorena -. Non riusciamo a far finta di nulla, chiusi nella quotidianità dei fatti nostri. Riusciamo perché loro ci restituiscono il valore dell'esistenza ed è inappagabile. E’ come andare alle sorgenti della vita stessa. Certo che ci interroghiamo continuamente su ciò di cui siamo testimoni, impotenti di fronte all’ingiustizia, ma sentiamo alto l’impegno a non tacere”. Specie perché la situazione sta addirittura peggiorando lungo la Rotta. “La Croazia ha ripreso i respingimenti in Bosnia, di fatto formalizzandoli, nonostante ripetuti atti legislativi che li hanno ritenuto illegali - spiega Gian Andrea -. La Regione Friuli ha acquisito recentemente 70 fototrappole da installare nei boschi, come se i migranti fossero animali da braccare”. Quando li intercettano in Slovenia e Croazia li torturarono, e non in modo generico. Colpiscono i loro arti, per impedire il viaggio e renderli invalidi: scosse elettriche, bruciature, pestaggi, morsi di cani… c'è di tutto. “E’ imperdonabile la crudeltà che si accanisce sulle loro vite, i fogli di espulsione dall’Europa, le ingiustizie che subiscono”.
Come Babar, difficile dargli un’età. Proviene da una provincia del Pakistan, da dove é dovuto fuggire per non essere ucciso. “Il tempo della sua vita si è consumato nei campi di cotone e nelle campagne di Jioannina, in Grecia - si legge in un post su Facebok, uno dei più recenti -. Dopo quattro anni di stenti e nessun riconoscimento della domanda d’asilo, ha percorso l’inferno della rotta balcanica. E’ qui da due giorni. Non chiede nulla, ma ha bisogno di tutto. Ha freddo, è magrissimo, trema. I suoi occhi si abbassano ogni volta che lo guardo. Gli preparo allora lo zaino con la felpa e gli porgo una giacca. Mi avvicino, lui arretra di qualche passo. Gli tendo le mie mani, lui nasconde le sue. Con la sinistra prende la giacca e la infila in movimenti abili, ma strani. Sembra un altro ragazzo, dopo averla indossata. In segno di ringraziamento si porta la mano destra al petto. Allora capisco. Non ha le dita. Mozzate.
E’ successo anni fa, quando per punirlo a causa della sua religione, lo hanno quasi ucciso di botte. Nel suo corpo cicatrici bruttissime mal rimarginate, sono impresse come dei marchi. La sua casa è stata bruciata, i genitori sono morti. Con metà mano, la sua vita ha avuto finora meno valore. Questa sera, però, ho visto balenare una luce nel suo volto: era di speranza”.

Quando capiremo?
Sono arrivati in tantissimi, anche durante la Settimana santa. Quasi tutti con un foglio di via europeo, nonostante siano ragazzi fuggiti dalle terribili condizioni dei loro Paesi. I più giovani, quelli che sembrano bambini, hanno, forse, 14 o 16 anni. Sono figli mandati dalle loro madri, affinché salvino le famiglie dalla miseria nera: andate, vivete, lavorate e salvateci. Vivere, cioè sopravvivere alla rotta di terra, non è così scontato per questi ragazzi. La vita, a volte, paga il prezzo della sopravvivenza.
“I movimenti migratori che stanno avvenendo in questi anni sono solo un’anticipazione di ciò che sarà”. Il mondo è governato da logiche economiche di profitto che producono fortissime diseguaglianze e da una crisi climatica ambientale che incide sugli spostamenti umani. “Quando prenderemo seriamente in considerazione tutto questo?”. Non chiamateli, dunque, samaritani, loro sentono di poter sommessamente dire che non possono fare in modo differente.

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