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Preti in crisi: servono ricerche serie sul loro disagio

Il suicidio di don Matteo Balzano riaccende l’attenzione sul disagio dei sacerdoti, in particolare i più giovani. In Italia mancano ricerche aggiornate sul burnout del clero: senza dati seri e sistematici, la teologia pastorale rischia di restare ancorata a impressioni
07/07/2025

La notizia del suicidio di don Matteo Balzano sta generando, comprensibilmente, molte emozioni e commenti sui social. Non si sa nulla dei motivi che hanno spinto a questo gesto estremo un giovane sacerdote descritto come entusiasta e dedito al ministero, perciò mi astengo dal commentare ciò che è successo. Colgo però questa triste occasione per una riflessione sul malessere che può colpire anche i sacerdoti, in particolare quelli giovani.

Ormai più di vent’anni fa ho condotto con altri una ricerca sul burnout dei preti della mia diocesi. I risultati sono stati pubblicati su varie riviste e alla fine sono confluiti in un libro che ho curato: “Ardere, non bruciarsi”.

La ricerca ebbe poi molta risonanza: nel 2018 fu citata addirittura da José Tolentino Mendonça (creato cardinale l’anno successivo) quando tenne gli esercizi spirituali a Papa Francesco. Pochi mesi fa una giornalista mi ha telefonato per chiedermi dati aggiornati su questo tema, ma ho dovuto risponderle con un po’ di vergogna che di queste ricerche, in Italia, non ne sono state condotte altre. I Vescovi francesi nel 2020 hanno coraggiosamente pubblicato i risultati dello “Studio sulla salute dei sacerdoti in attività”, senza nascondere problemi come per esempio un certo abuso di alcol da parte di due quinti del clero. In Italia, invece, si è finora preferito non intraprendere ricerche di tale portata. È probabile che le ragioni siano molteplici, e non certo legate a indifferenza: forse un certo timore, forse la convinzione che l’esperienza pastorale quotidiana permetta già una conoscenza sufficiente della realtà, forse una fiducia minore nelle ricerche di ambito socio-religioso. Qualunque sia il motivo, resta il fatto che la teologia pastorale, senza un’adeguata base di dati, rischia di restare ancorata più a impressioni che a evidenze. E questo, oggi, appare come una mancanza da colmare con umiltà e coraggio.

La mia ricerca, condotta a costo zero, mise in luce un dato tutt’altro che sorprendente: il disagio diffuso tra i sacerdoti nei primi anni di ministero. Passare dalla vita di seminario – regolare e regolata – a quella della parrocchia è un cambiamento che può mettere in crisi. In fin dei conti, anche alcuni confratelli più sperimentati soffrono parecchio quando cambiano incarico: quanto più chi inizia una vita complessa come lo è quella del prete oggi.

Inoltre, non dimentichiamo che i giovani preti sono presbiteri – cioè anziani – solo sacramentalmente: per il resto sono giovani, e se il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani, dopo gli incidenti stradali, un motivo ci sarà. Un prete giovane è diverso dai suoi coetanei? Sì, ma non troppo.

Come quelli della sua età può sentire il bisogno di conferme da parte dei superiori e dei fedeli e per ottenerle può arrivare a spendersi oltremisura, magari con il timore – infondato, certo, ma per lui reale – di non essere più apprezzato se non riesce a raggiungere certe performance. Si potrà obiettare che un uomo di Dio non dovrebbe dipendere dal giudizio degli altri, rispondendo solo al Signore e alla propria coscienza. Ma ciascuno è quel che è, e per arrivare a essere quel che dovrebbe, se mai ci arriva, prima deve imparare a conoscere sé stesso attraversando molte prove e prendendosi cura seriamente della propria formazione. Non tutti ce la fanno: qualcuno abbandona il ministero, qualcuno viene a patti con una mediocrità tutt’altro che aurea, qualcuno si sente sopraffatto dalla vergogna di non essere all’altezza dei propri ideali, qualcun altro cade in depressione o si ammala.

Fare un po’ di ricerca su come stanno i preti oggi magari non risolverà i loro problemi, ma sarebbe un segno di ascolto serio e molto apprezzabile. (Giorgio Ronzoni)

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