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A Gaza pace appesa a un filo

La “storica” firma lascia aperte molte questioni di primaria importanza

Tra commozione, incredulità, speranza e interessi, la cronaca racconta che, dopo due anni, si è per ora conclusa la guerra tra Israele e Hamas. Dopo la “storica” firma del piano di cessate il fuoco per Gaza in molti si chiedono se e quanto durerà. Mentre i palestinesi cominciano a ritrovare, per quanto possibile, una normalità, prende forma l’area di insediamento militare israeliano nella Striscia, lungo la cosiddetta “linea gialla”. Ci si chiede anche come verranno ripagati gli alti costi finanziari e diplomatici della guerra a Gaza e del disequilibrio geo-politico che è andato a rigenerarsi in Medioriente. Basterà fare di parte di Gaza un resort turistico? O gli introiti dello sfruttamento del grande giacimento di gas nel mare davanti alla Striscia?

Guardando all’altra metà

Anche in Cisgiordania la notizia è stata accolta con festeggiamenti, tra sollievo e speranza, che l’eccidio di civili palestinesi fosse finalmente finito. A quasi due settimane dalla firma in pompa magna a Sharm el Sheik (Egitto) in questa parte della Palestina chi vi abita ci racconta come, per loro, non esista un effettivo cessate il fuoco. Vi sono oltre 900 posti di controllo, barriere e cancelli di ferro che si aprono e chiudono a piacimento dell’esercito israeliano, il che significa che un palestinese può rimanere bloccato davanti a una barriera per ore. Questo interrompe ogni aspetto della vita: dalle visite familiari alle cure mediche urgenti, dalla frequenza scolastica al trasporto di merci.

Dietro il silenzio delle armi

L’avvio dello scambio di prigionieri di guerra tra le parti - anche se la maggior parte hanno poco a che fare con la guerra e sono solo civili finiti al momento sbagliato nel posto sbagliato - ha reso, de facto, operativo il “silenzio” delle armi e della distruzione con i bulldozer.

Il cessate il fuoco è stato raggiunto dopo due anni di massacri di intensità inaudita: bombardamenti quotidiani su un’area grande poco meno del Comune di Venezia (il più esteso del Veneto, con circa 250 mila abitanti; nella Striscia, prima del 7 ottobre, gli abitanti erano 2 milioni e mezzo) e che hanno ucciso almeno 70 mila persone, ma, in realtà, probabilmente il doppio.

Israele ha sganciato oltre 70 mila tonnellate di bombe: gli Alleati durante la seconda guerra mondiale ne avevano impiegate 12 mila per radere al suolo Dresda e Amburgo.

Il piano in 20 punti per Gaza, proposto dal presidente americano, Donald Trump, include passi che vanno dal cessate il fuoco alla ricostruzione, ma lascia aperte grandi questioni, come il futuro di Gerusalemme, il ritorno dei rifugiati palestinesi, gli accordi sulla sicurezza, i futuri confini e i numerosi insediamenti israeliani e la violenza nella Cisgiordania occupata. Oltre ai temi dello smaltimento delle macerie, del ripristino delle reti tecnologiche delle città, degli archivi pubblici, anagrafe e catasto in primis.

Scatti di quotidianità

Il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Wfp) afferma che le forniture a Gaza sono aumentate dopo il cessate il fuoco, ma sono ancora ben lontane dall’obiettivo giornaliero di 2.000 tonnellate, perché sono aperti solo due valichi (Karem Abu Salem a sud e al-Karara al centro), per entrare nella Striscia. Le consegne di aiuti incontrano ancora ostacoli da parte israeliana, nonostante la pronta consegna di aiuti umanitari alla popolazione fosse uno dei punti degli accordi di Sharm el Sheik. Continua a rimanere chiuso il valico di Rafah, tra Gaza ed Egitto.

Martedì 21 ottobre sono entrate circa 750 tonnellate di cibo, ma questa cifra è comunque ben al di sotto delle reali necessità dopo due anni di devastante guerra israeliana che ha ridotto gran parte di Gaza in rovina. I punti di distribuzione alimentare aperti sono 26 in tutta la Striscia, ben lontani dai 145 che il Wfp spera di gestire.

Il cessate il fuoco sarà duraturo?

Secondo un sondaggio Swg per il tg La7 dei giorni scorsi, la percentuale degli italiani che ritiene positivo l’accordo di pace tra Israele e Hamas è dell’89%.

A guardare dal campo in questi giorni, il fragile cessate il fuoco è appeso a un filo, con il cruciale valico di Rafah chiuso e gli aiuti limitati, mentre la gente cerca ricordi nella memoria, tra le abitazioni che non ci sono più. Interi quartieri sono, infatti, scomparsi sotto le bombe israeliane. Intanto cominciano a circolare delle mappe che mostrano che la linea gialla prevede che oltre la metà (alcune stime parlano di circa il 58 percento) di Gaza resterà sotto il controllo israeliano.

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