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Assedio a Rafah, Israele va avanti

Secondo i media israeliani, gli Stati Uniti stanno prendendo parte a un disperato sforzo diplomatico per impedire alla Corte penale internazionale di emettere, nelle prossime settimane, mandati di arresto per il premier Benyamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e il capo dell’Idf Herzi Halevi. L’invasione di Rafah, però, sta dividendo le cancellerie internazionali e dopo il ruolo marginale assunto dalla Cpi negli ultimi anni, una prossima decisione su Gaza - qualsiasi essa sia - varrà in termini di legittimità e credibilità della Corte stessa

Le agenzie delle Nazioni Unite e i gruppi umanitari avvertono delle conseguenze devastanti di qualsiasi attacco militare a Rafah, dopo che Israele ha ordinato, nello scorso fine settimana, a decine di migliaia di persone di evacuare gran parte della città meridionale della Striscia a confine con l’Egitto. L’esercito israeliano ha chiesto alla popolazione di spostarsi verso una nuova “zona umanitaria” ad al-Mawasi (che va dalla spiaggia della città di Rafah alla spiaggia della città di Der Al-Balah), in alcune aree di Khan Yunis e del centro della Striscia.

L’ordine è arrivato con il lancio di volantini, l’invio di sms telefonate e annunci audio con droni in arabo, segnalando che un’invasione di terra - paventata da tempo - potrebbe essere imminente.

Assedio di Rafah

Così, già da martedì, mentre il conflitto entrava nel suo ottavo mese, l’esercito israeliano ha preso il controllo del vitale valico di frontiera di Rafah, tra Gaza e l’Egitto, spingendosi nella città meridionale di Gaza, dopo una notte di attacchi aerei e mentre le prospettive per un accordo di cessate il fuoco erano in bilico.

Israele ha a più riprese descritto Rafah come l’ultima roccaforte significativa di Hamas, e i suoi leader hanno ripetutamente affermato che è necessario effettuare un’invasione di terra per sconfiggere i suoi combattenti. Gli Stati Uniti, pur continuando a fornire armi e supporto militare al Governo di Tel Aviv, hanno dichiarato di aver fatto pressioni affinché non fosse avviata una campagna militare a Rafah, senza che fosse prima elaborato un piano umanitario per i palestinesi costretti a fuggire, e venisse garantito l’afflusso di aiuti umanitari.

L’Egitto ha avvertito che l’operazione israeliana nella città di Rafah minaccia gli sforzi di cessate il fuoco e rischia di creare una polveriera regionale.

Ennesima fuga

Sotto la fredda pioggia primaverile di questi giorni, le famiglie palestinesi stanno ammucchiando bambini e averi e cominciando l’ennesima fuga chi su carretti trainati da asini, chi a bordo di pick-up o a piedi per strade fangose e polverose.

Più di un milione di persone ha cercato rifugio a Rafah e dintorni, in questi mesi, vivendo nelle tende dei campi o in rifugi di fortuna, dopo che erano state bombardate le loro case a nord della Striscia e nella stessa Gaza City. Andarsene nuovamente, ma verso dove?

Con vaste aree dell’enclave costiera già devastate, le case a nord distrutte, vi è la forte possibilità di finire nelle tendopoli interne, già affollate e senza prospettive, dove rischiano di morire di fame e malattie, o in caso di recrudescenza del conflitto, nel campo profughi in corso di costruzione al di là del confine, nella penisola del Sinai, in Egitto. Si tratta di un campo, quest’ultimo, che copre 20 chilometri quadrati di superficie, è circondato da muri di cemento, e avrà la capacità di ospitare circa 100 mila persone. E le altre?

Che a Il Cairo siano diventati improvvisamente dei benefattori è poco probabile, visti gli ingenti costi che una struttura come questa comporta. E’ più probabile che si tratti della risposta sottotraccia della comunità internazionale, che sostiene Israele nel conflitto con Hamas e vorrebbe gestire quanti saranno sfollati.

L’appello delle ong

“Lo sfollamento forzato delle persone da Rafah, interrompendo ulteriormente la risposta agli aiuti, probabilmente segnerà il destino di molti bambini”, ha detto Inger Ashing, coordinatore di Save the Children, esortando i Paesi ad “agire ora”, per proteggere i civili e prevenire le atrocità.

Jan Egeland, capo del Consiglio norvegese per i rifugiati, ha dichiarato: “L’offensiva militare israeliana a Rafah potrebbe portare alla fase più mortale di questo conflitto, infliggendo orribili sofferenze a circa 1,4 milioni di civili sfollati nella zona”. Aggiungendo che “qualsiasi operazione militare israeliana a Rafah - che è diventato il più grande raggruppamento di campi profughi nel mondo - causerà potenziali atrocità di massa”.

In attesa della sentenza della Cpi

Secondo i media israeliani, gli Stati Uniti stanno prendendo parte a un disperato sforzo diplomatico per impedire alla Corte penale internazionale di emettere, nelle prossime settimane, mandati di arresto per il premier Benyamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e il capo dell’Idf Herzi Halevi. L’invasione di Rafah, però, sta dividendo le cancellerie internazionali e dopo il ruolo marginale assunto dalla Cpi negli ultimi anni, una prossima decisione su Gaza - qualsiasi essa sia - varrà in termini di legittimità e credibilità della Corte stessa.

Un eventuale mandato d’arresto, in termini giuridici, significherebbe che qualsiasi Paese che è stato membro della Cpi – parliamo di 124 Stati – avrebbe l’obbligo giuridico di darne esecuzione. E’ chiaro che questa sarebbe una fortissima limitazione per l’esercizio delle funzioni governative della leadership israeliana.

E’ un rischio che va, poi, valutato nel medio e lungo periodo: se determinati esponenti politici – Netanyahu o altri – non dovessero più essere rappresentanti di governo, il pericolo per loro aumenterebbe, si ritroverebbero più isolati loro, ma anche lo stesso Stato di Israele. L’effetto principale è quello della deterrenza: i mandati di arresto avrebbero una grossa efficacia, in questo senso, per quanto riguarda le violazioni nella Striscia di Gaza. E soprattutto l’invasione via terra a Rafah, se i mandati dovessero arrivare a breve, potrebbe essere congelata.

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