La settimana scorsa abbiamo pubblicato una presentazione della lettera apostolica di papa Leone sull’educazione:...
Cile: elezioni presidenziali, dopo il primo turno avanti la comunista Jara
Come quattro anni fa, per certi aspetti più di quattro anni fa, le elezioni presidenziali in Cile presentano uno scenario polarizzato: sinistra contro destra, a tinte forti, la candidata comunista contro il candidato di destra che ha espresso nostalgie per il regime di Augusto Pinochet. Ma il contesto è diversissimo, anche per la percentuale di votanti, attorno all’85 per cento, dovuta alla decisione di rendere la partecipazione obbligatoria per legge. In testa, dopo il primo turno del 16 novembre, ma meno nettamente rispetto ai sondaggi, con il 26,85% c’è, Jeannette Jara, la candidata della sinistra unita, il cosiddetto “frente amplio”. Jara ha vinto le primarie per raccogliere la complessa eredità di Gabriel Boric, nonostante la sua lunga appartenenza al Partito comunista cileno. Il suo limite, dato anche il profilo molto marcato, è il rischio di aver già fatto il “pieno” dei suoi consensi al primo turno. Da questo punto di vista, il “piatto piange”, dato che ci si attendeva un consenso oltre il 30 per cento.
Dall’altra parte, invece, la destra si è frammentata, dividendosi in quattro tronconi, che sommati insieme, portano a una percentuale intorno al 70 per cento. Il ballottaggio, insomma, pare chiaramente indirizzato, salvo autogol clamorosi. Nella lotta fratricida è emerso José Antonio Kast, del Partito Repubblicano (23,92%), al suo terzo tentativo, portatore di una visione di destra radicale, anche se con un profilo più moderato rispetto a quanto accadde nel 2021. In quell’occasione ebbe la maggioranza relativa al primo turno, me al ballottaggio venne percepito come troppo estremo e subì la rimonta di Boric. La sorpresa assoluta è l’economista Franco Parisi, politico discusso, che vive a Miami, del Partito della gente, che spopola nelle regioni del nord e a livello nazionale raggiunge il 19,71%. Una proposta, la sua, più populista che di destra (è l’unico degli sconfitti a non aver dichiarato il suo appoggio a Kast per il ballottaggio); risultato deludente, invece, per Evelyn Matthei, della destra tradizionale (“Chile Vamos”), ferma al 12,26%, e Johannes Kaiser (13,94%), ancora più a destra di Kast, con il suo Partito nazionale libertario. Anche le elezioni parlamentari premiano i partiti di destra, soprattutto alla Camera dei deputati.
Un clima di sfiducia e paura
Come si accennava, però, anche se si rinnova il confronto tra sinistra e destra, il clima politico è molto diverso, rispetto a quattro anni fa, per certi aspetti capovolto. Nel 2021, a portare Boric a La Moneda, sede della Presidenza della Repubblica, fu l’onda lunga delle proteste sociali del 2019, sfociate nell’elezione di un’assemblea Costituente fortemente sbilanciata a sinistra. Ma l’entusiasmo è durato poco, dato che gli stessi cileni che avevano chiesto a gran voce una nuova Carta, hanno, poi, bocciato quel progetto di Costituzione (e pure il successivo, rivolto, invece, a destra).
Di fatto, un reciproco blocco che ha fermato qualsiasi ipotesi di cambiamento, portando disillusione e preoccupazione per l’aumento della criminalità.
Fa notare il politologo David Altman Olin, docente di Scienza politica alla Pontificia Università Cattolica del Cile: “Il primo turno delle elezioni presidenziali, per certi aspetti, ha avuto la funzione di elezioni primarie all’interno del fronte conservatore. Mentre, a sinistra Jara era, in pratica, l’unica candidata, a destra si sono confrontati Kast, Kaiser, il più estremo, Mattei e Parisi”. La campagna elettorale, in ogni caso, “è scorsa via in modo tranquillo, e i principali candidati hanno cercato di moderare la loro proposta, per attrarre l’elettorato più indeciso. In particolare, Jara, che è stata ministra dello Sviluppo sociale e della Famiglia, pur non negando la sua provenienza dal Partito comunista, nelle ultime settimane ha usato un linguaggio meno radicale”.
Questo vale anche per la politica estera, con alcune correzioni di rotta rispetto al rapporto con il Venezuela e con Cuba. Simile processo, si è svolto a destra nella campagna elettorale di Kast, che “ha cercato consensi al centro, anche se questo, per la dinamica dei flussi, ha lasciato spazio a Kaiser”. Quest’ultimo, di religione neo-evengelica, ha presentato una piattaforma economica iperliberista, sulla scia di Javier Milei in Argentina, e ha affermato di condividere la scelta del colpo di Stato del 1973, che portò al potere Augusto Pinochet.
L’occasione persa dalla sinistra
Il professor Altman conferma che il tema che maggiormente ha influenzato il dibattito è stato quello della sicurezza: “La campagna elettorale si è giocata soprattutto su questo e, dunque, indirettamente, anche sull’immigrazione clandestina”. I dati ufficiali, in effetti parlano di un raddoppio degli omicidi, che oggi sono 6 ogni 100 mila abitanti, un tasso che pone, in ogni caso, il Cile tra i Paesi più sicuri del Continente. La destra, tuttavia, è riuscita a imporre questa tematica, evidenziando il cambiamento delle periferie urbane e il fenomeno dell’immigrazione. Ma, a “spingere” la destra, è anche la crisi di una sinistra che non ha saputo approfittare dell’occasione avuta quattro anni fa. “Boric - afferma il politologo - ha avuto una «luna di miele» cortissima, la sua popolarità è ben presto svanita, ci ha anche aggiunto un certo tasso di «superbia». La sconfitta del progetto di Costituzione, dopo neppure un anno di Governo, ha rappresentato per lui una sorta di “knockout”. Il suo Governo era partito con grandi ambizioni, per rifondare la società cilena, è questa speranza è presto svanita”.



