Questo tempo particolare, che ci vuole preparare nella duplice attesa del Natale del Signore e del suo...
Colpo di Stato in Niger: continua l’instabilità nella regione del Sahel
Si fa sempre più tesa la situazione in Niger, dopo il golpe del 26 luglio contro il presidente Mohamed Bazoum, in carica dal 2021 e democraticamente eletto. Si tratta del sesto colpo di Stato dal 2020 nell’area del Sahel, la regione delle “tre frontiere” (Niger, Mali, Burkina Faso). Il Niger è ora controllato da una giunta guidata dal generale Abdourahamane Tchiani, comandante della Guardia presidenziale. Ministri e rappresentanti del Governo del presidente deposto Bazoum sono stati arrestati. Avviato il rimpatrio degli stranieri presenti, tra cui anche un gruppo di italiani. I nostri connazionali censiti nel Paese dal Ministero degli Esteri sono poco meno di centinaio, esclusi i militari.
Ci si potrebbe chiedere perché la politica nostrana si interessi di uno dei Paesi più poveri al mondo, mentre non lo ha fatto in altri Stati con la presenza di un maggior numero di italiani. Cerchiamo di capire perché il Niger “ci interessa”.
Il cuore del Sahel e porta verso Nord
Il Niger, grande quattro volte l’Italia, ma con soli 25 milioni di abitanti, si trova nella parte interna dell’Africa occidentale. Non ha sbocchi al mare e confina con altre 7 Nazioni (Algeria, Libia, Ciad, Nigeria, Benin, Burkina Faso e Mali). Si estende su un territorio per larga parte desertico, lungo la rotta del Sahel, battuta dalle carovane di migranti dirette verso il Mediterraneo e attraversata da milizie jihadiste.
Il ruolo del Niger come Paese di transito per i migranti subsahariani diretti in Libia è stato oggetto di attenzione da parte dell’Unione europea negli ultimi anni e, dal 2015, è al centro di significativi sforzi internazionali per frenare questi movimenti. Le rotte, tra i migranti diretti verso Nord, si sono, tuttavia, diversificate. Se fino a qualche anno fa quella principale era verso la Libia, ora la maggior parte di chi transita in Niger preferisce passare il deserto dirigendosi sul confine algerino.
I fondi dell’Europa
Il Niger ha agito negli ultimi anni come il poliziotto d’Europa, per quanto riguarda le migrazioni. L’idea è semplice: arruolare polizia ed esercito per impedire ai migranti di lasciare il Niger, scegliere i pochi fortunati che hanno diritto all’Asilo in Europa e tenerli in centri di transito fino a ulteriori ricollocamenti. A questo scopo, ha dato il proprio apporto finanziario e militare anche l’Italia, realizzando, inoltre, una base militare.
In cambio di questo sforzo per ridurre le migrazioni irregolari, il Niger, uno dei Paesi più poveri del mondo, riceve fondi (briciole) dall’Unione europea per avviare progetti di sviluppo. A leggere i dati della Banca mondiale, sono nettamente insufficienti i 2 miliardi di dollari all’anno che il Niger riceve in assistenza allo sviluppo se rapportati, ad esempio, ai 3 miliardi stanziati come ultimo pacchetto di aiuti militari europei all’Ucraina (maggio 2023).
Tra pastorizia e minerali
Il 90% della popolazione si dedica alla pastorizia di mera sussistenza e all’agricoltura, praticabile solo sul 5% del territorio, lungo un asse Est-Ovest, parallelo al grande fiume che gli dà il nome. E così troviamo che quasi i due terzi dei nigerini vive al di sotto della soglia della povertà estrema, pur in presenza di un sottosuolo ricco di risorse naturali, estratte da imprese minerarie straniere – per lo più francesi, per il suo passato coloniale – dalle quali la popolazione riceve “in cambio” ben poco, se non la contaminazione di vaste aree del territorio, bassi salari per i minatori, rischi sanitari e laute tangenti per il dittatore o l’uomo forte di turno. Qui abbiamo il più grosso giacimento di uranio del mondo, a cui va aggiunto l’oro, il petrolio, il ferro, ma anche fosfati e terre rare come il cobalto e il coltan. Tutto in mano a imprese straniere, mentre il business che tiene in piedi il Paese è fatto di traffico di droga e tratta di esseri umani, gestiti da poliziotti e politici corrotti. Il Niger rappresenta il crocevia della cocaina sudamericana verso l’Europa, e anche della maggioranza di coloro che si imbarcano sulle coste algerine, tunisine e libiche, che difficilmente sono nigerini.
Partner strategico
Stride sentire, allora, in questi giorni, da ministri e diplomatici, che il Paese subsahariano sarebbe un “partner chiave dell’Unione europea” nel contribuire a frenare il flusso di migranti irregolari provenienti dall’Africa subsahariana e per questo ci deve essere il massimo sforzo diplomatico per ristabilire lo status quo. La Francia ipotizza un intervento armato a difesa degli interessi nazionali in terra nigerina, mentre il nostro Governo auspica una soluzione negoziale e la costituzione di un Governo riconosciuto dalla comunità internazionale.
Una presenza in sordina
Per la cronaca, dal 2018 è presente in Niger un contingente militare italiano di circa 500 uomini e, da due anni, anche una vera e propria base militare (Base Aérienne 101), bastione italiano nel Sahel. Peccato che, nonostante le tensioni nel Paese durassero da settimane, i nostri diplomatici ed esperti di intelligence non ne abbiano colto la gravità, tanto che l’ambasciatrice, al momento del golpe, si trovava in Italia, impossibilitata a rientrare a Niamey, mentre il nostro contingente si è dovuto asserragliare nel fortino realizzato all’esterno dell’aeroporto della capitale.