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Primavera africana

Le proteste giovanili attraversano il Continente. La Generazione Z è scesa in piazza negli ultimi mesi, anche più volte, in Madagascar, Marocco, Kenya, Tanzania, Uganda, Nigeria, e, ora, in Guinea Bissau. Per ampliare i propri spazi di partecipazione

L’Africa è il Continente più giovane del mondo: l’età media è di appena 19 anni (in Europa è 42). Un dato che si traduce in una vitalità sociale e politica straordinaria, come dimostrano le recenti proteste di piazza e il dei movimenti giovanili, che stanno attraversando il Continente.

La Generazione Z è scesa in piazza negli ultimi mesi, anche più volte, in Madagascar, Marocco, Kenya, Tanzania, Uganda, Nigeria, e, ora, in Guinea Bissau. Le proteste dei giovani sono partite per lo più online, come accaduto in altri Paesi (dal Nepal al Bangladesh, alla Serbia), attraverso la piattaforma di gioco Discord o di video-sharing Tik Tok. Le ragioni per cui i giovani africani scendono in strada variano, ogni contesto ha la sua storia. Un aumento improvviso del prezzo del pane, una riforma sbagliata, un abuso di potere. Ma dietro questi eventi specifici si cela un malessere comune: Governi percepiti come distanti e incapaci di offrire soluzioni adeguate. Lungi dall’essere una semplice questione di idealismo giovanile che si scontra con il pragmatismo dell’età, sembra, piuttosto, la conseguenza di anni di retorica, promesse vuote e governanti corrotti.

La richiesta principale e comune: maggiore democrazia e partecipazione dei giovani nella costruzione del futuro dei loro Paesi. I giovani chiedono con urgenza riforme della governance, che rispondano realmente alle aspettative dei cittadini, osservando che le promesse non mantenute rischiano di aggravare la frustrazione e la fiducia nei loro leader eletti - spesso in elezioni poco libere - rispetto ai cittadini più anziani.

Le mobilitazioni guidate dai giovani sono diventate centrali per salvaguardare la resilienza democratica in tutta l’Africa, riaffermando l’azione civica in un contesto di declino istituzionale, per rivendicare e reinventare continuamente la capacità democratica dal basso. L’ultimo sondaggio di Afrobarometer, realizzato nelle strade di trentanove Paesi africani, offre una chiave di lettura chiara. Il sessantasei per cento dei giovani intervistati sostiene la democrazia come forma di governo preferita, ma questi sono più sensibili, rispetto alle persone più adulte, a esprimere l’insoddisfazione del modo in cui funziona la democrazia nel loro Paese.

Questa spinta alla democrazia è stata, fin qui, poco valorizzata dai media europei, che parlano dell’Africa in modo limitato, riducendo, spesso, il Continente a una serie di crisi violente dall’origine oscura, causa di povertà e migrazioni.

Ma l’Africa è più di questo. La “democrazia africana” non sopravvive grazie alle sue istituzioni, ma grazie alla tenacia del suo popolo. Il rischio forte è che, a fronte di enormi squilibri economici e continui conflitti, ci sia un generale aumento della frustrazione giovanile, con effetti negativi: malattie mentali, aumento dei suicidi, droga, emigrazione o arruolamento mercenario.

Per troppo tempo, ai giovani africani è stato detto che la democrazia è qualcosa di importato, qualcosa di preso in prestito, qualcosa di estraneo alla loro identità. Ma la storia ci offre una verità molto diversa. La democrazia non è un’idea arrivata dall’Occidente. È un’idea umana. E da più parti, in Africa, si sostiene che venisse praticata molto prima che esistessero gli Stati moderni. Le moderne società africane non partono in questo da zero.

Abbiamo raggiunto un diplomatico di lungo corso, Awale Ali Kullane, 51 anni, già ambasciatore della Somalia in Cina e Svezia, che commenta così questa nuova “primavera democratica” in Africa: “I giovani africani non chiedono la democrazia perché è straniera, o su spinta esterna. La chiedono, perché vivono in società che non corrispondono più alle loro aspirazioni. Una generazione istruita, connessa e consapevole della situazione globale, non può accettare istituzioni lente, sistemi politici chiusi o gerarchie rigide. La loro richiesta di spazio democratico è espressione di fiducia, non di carenza. In tutto il Continente sono emerse mobilitazioni civiche guidate dai giovani, che chiedono equità, trasparenza e responsabilità nella vita pubblica. Questi movimenti sono diversificati, pacifici e fondati sulla dignità. Riflettono un’evoluzione naturale in cui i sistemi politici devono tenere il passo con le realtà sociali ed economiche che i giovani vivono ogni giorno”.

Oggi, dunque, i giovani africani si trovano ad affrontare una nuova sfida: rivendicare la democrazia per ampliarla. “Ciò che distingue la generazione Z - conferma Kullani - è che non chiede, semplicemente, di essere inclusa nei sistemi esistenti. Sta ridefinendo ciò che la democrazia dovrebbe garantire. Vogliono Istituzioni che forniscano servizi, non solo Istituzioni che conducano elezioni. Vogliono una governance responsabile, il rispetto dei diritti, servizi pubblici funzionali e una leadership che tratti i cittadini come partner. In questo senso, stanno espandendo la democrazia insistendo affinché diventi più reattiva, più trasparente e più pertinente alle realtà del XXI secolo. La loro spinta non è ispirata da modelli esterni, ma dalle loro aspettative vissute di dignità, equità e competenza. Stanno basandosi sulla lunga tradizione africana di consenso, consultazione e processo decisionale comunitario, adattandola a una nuova era. Il loro movimento è costruttivo, basato sui principi e guarda verso il futuro”.

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