Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
Veglia delle Palme con i giovani della diocesi di Treviso
Oltre mille giovani sabato sera primo aprile hanno pregato insieme al Vescovo nella veglia delle Palme. "Incontriamo il Signore vivo, e questo fa di noi dei viventi, amici di un Vivente. Crediamo che l'amore è più forte di ogni morte" ha detto mons. Tomasi.

Una veglia itinerante che ha visto un migliaio di giovani testimoniare la propria fede tra le vie di Treviso. Sabato 1° aprile, la veglia delle Palme dei giovani con il Vescovo, è iniziata nel chiostro del Seminario:durante l’inno della prossima Gmg, ragazzi e ragazze si sono passati di mano in mano la bandiera della giornata, che poi è stata issata al centro. I giovani sono stati accompagnati, grazie a una rappresentazione, a riflettere sulla figura di Ponzio Pilato, colui che, per opportunismo e utilitarismo, decise di sacrificare un innocente, Gesù, che lui stesso non credeva colpevole.
I giovani si sono poi messi in cammino divisi in quattro gruppi, ciascuno verso una chiesa diversa: S. Agnese, S. Martino, S. Stefano e il Duomo. In fila, ciascun gruppo dietro a una croce sorretta da quattro persone e a delle fiaccole, che con la propria luce indicavano il cammino, i ragazzi hanno ascoltato, attraverso un podcast, la testimonianza di Elena, una “cirenea” dei tempi moderni. Come Simone di Cirene, infatti, a cui misero addosso la croce perché la portasse dietro a Gesù, anche Elena si è trovata a sorreggere la propria croce. Di fronte prima alla malattia della nonna e poi della madre, ha saputo, per amore, accettare la sofferenza e trasformarsi in una figura di cura: tutti possiamo essere cirenei, sollievo per chi è debole, aiuto per chi non ce la fa.
In ogni chiesa si è svolto un momento di adorazione guidata, dove i giovani hanno riconosciuto nelle mani, nei piedi, nel viso, nel cuore e nel costato di Gesù i segni della Passione, ma anche della sua vita e del dono di essa a ciascuno di noi. Il cammino dietro alla croce è poi proseguito fino alla chiesa di San Francesco.
Nell’ultimo tratto di strada i giovani sono stati accompagnati dalla testimonianza di Cristian De Cherge, monaco trappista, priore dell’Abbazia di Tibhirine, ucciso da un gruppo estremista islamico in Algeria nel maggio 1996. Nel suo testamento spirituale affermava: “La mia morte sembrerà dare ragione a quelli che mi hanno trattato da ingenuo e da idealista. Ma, di questa vita perduta, io rendo grazie a Dio. In questo “grazie”, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi (...). E anche te, amico dell’ultimo minuto che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie, e questo a-Dio nel cui volto ti contemplo. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due”.
Nella chiesa di San Francesco i giovani hanno infine ascoltato il Vangelo di Giovanni affermare “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. E il Vescovo ha concluso: “Siete gente strana, sono le dieci e mezza di sabato sera e tutti si aspetterebbero di trovarvi altrove, dovreste essere altrove, in giro, a fare coretti nei bar, mentre passa la processione. Ma ci sarà un motivo per cui siete qui questa sera, c’è qualcosa nella vita di ciascuno di noi che chiama a fare qualcosa di strano. Ve lo confesso, mi è parso strano girare di sabato sera per le vie di Treviso vestito così, ma forse ha fatto strano anche a voi essere qui, essere testimonianza di chi dice «posso mettermi dietro una croce passando in luoghi inconsueti». Penso e credo, vedendovi, che abbiate, in un momento della vostra vita, incontrato una persona che ha brillato per voi in modo genuino e autentico, avete fatto esperienza di fare cose con gli altri, fare cose per gli altri, essere a servizio, fare ed esserci. E avete fatto esperienza di qualcuno che vi ha detto «sei un amico», e questo vi ha portato ad essere qua. Questa croce e quelle che abbiamo contemplato nella meditazione, se vengono considerate sole, se vengono prese come la fine, sono scandalo. Se è lì la fine, allora aveva ragione Pilato, pensando che il mondo è dei forti e bisogna farsi furbi. Ma se siamo qui adesso è perché sappiamo che lì non è finito niente, se non la paura della fine e della morte. Lì è il paradossale punto di partenza del Risorto, quello che è risuscitato dal Padre perché è vivo. Le croci di questo mondo sono difficili da portare, ma sono luogo di vita, perché il Signore che ci è morto sopra, ora è vivo. Lui non è una favola, e noi quelli che commemorano la sua morte. Noi siamo quelli che lo incontrano vivo, e questo fa di noi dei viventi, amici di un Vivente. Ed è per questo che siamo un po’ strani, perché crediamo davvero che l’amore è più forte di ogni morte, che è più forte di ogni odio, che l’amicizia che si crea tra noi fa di noi delle persone semplici ma eccezionali, qualcuno che cambia il mondo, che lo fa splendere di vita, di solidarietà, di coraggio. Il Signore qui oggi ci dice «benvenuti amici, camminiamo insieme e continuiamo a volerci bene, camminando per le strade delle nostre città, dei nostri paesi, portando questa certezza: siamo amici, amici del Vivente»”.