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Don Davide Carraro sarà ordinato vescovo di Orano il 26 gennaio
Sarà il pastore di un “gregge” di circa 400 cattolici, un settimo degli abitanti del suo paese d’origine Sambughè. 400 fedeli in un territorio grande più o meno quanto l’Austria, “persi” tra una popolazione di almeno sette milioni di abitanti. E’ la singolare missione che attende padre Davide Carraro, che il 26 gennaio sarà ordinato vescovo e prenderà possesso della diocesi di Orano, in Algeria. La sua missione pastorale, dunque, sarà esercitata in un territorio dove i cattolici sono una sparuta minoranza, in una città ricca di storia, e anche di segni di fede, dalla cattedrale al santuario di Nostra Signora della Santa Croce (nella foto), che domina l’abitato e il porto, che si affacciano sul mar Mediterraneo. In realtà, afferma convinto, “noi non siamo presenti solo per la piccola minoranza, siamo per tutti, così come Cristo è venuto per tutti”.
Padre Davide, come si è preparato all’ordinazione?
Provo un sentimento di pace. Non so esattamente cosa mi aspetta, non conosco la diocesi, si tratterà di una scoperta progressiva, da vivere con abbandono. Magari, non avrò sempre le migliori risposte e le migliori idee, spero di convincere a partire dalla bontà, che precede l’intelligenza.
Da chi sarà composto il suo “piccolo gregge”?
Si tratta di qualche centinaio di persone. I cristiani algerini sono una quarantina, poi ci sono studenti dell’Africa subsahariana, qualche diplomatico in servizio nel Paese, alcuni migranti. Tengo, però, a sottolineare che non siamo lì solo per loro, siamo lì per tutti. Orano ha un milione e mezzo di persone, l’intera diocesi è molto vasta, con vari milioni di abitanti. Ci rivolgeremo a tutti, naturalmente rispettando l’altro e la sua diversità. L’altro non deve pensarla come noi, avere le nostre stesse credenze, ma da lui possiamo apprendere molto.
In che modo la Chiesa di Orano rende visibile questa attenzione della Chiesa a tutte le persone?
Conosco questa realtà in modo ancora superficiale, dato che ho ancora fatto il mio ingresso in diocesi. Sicuramente, ci sono delle attività caritative e culturali che si rivolgono a tutta la popolazione. Ci sono anche dei luoghi molto particolari, come il santuario di Nostra Signora della Santa Croce. La gente viene a vederlo, da lassù c’è un bellissimo panorama, ma i visitatori sanno che nel luogo sono presenti dei cristiani, ci possono essere delle occasioni d’incontro.
Prima di questa nomina a vescovo, lei ha vissuto a lungo in Algeria, e finora è stato ad Algeri, come vicario generale. Cosa porta di questa esperienza?
Per cinque anni sono stato al sud, in mezzo al deserto, quindi ad Algeri negli ultimi anni. Ma più che portare qualcosa, voglio ascoltare, non ho un piano pastorale, desidero parlare con la gente, prendere man mano conoscenza di questa nuova realtà.
Ma come si riesce a vivere e a testimoniare il Vangelo in un contesto come quello algerino?
Si parte dalla fragilità, dalla piccolezza. Vale, per esempio, per il clero diocesano di Orano, che è composto da dodici sacerdoti. Di questi, solo uno è più giovane di me, in gran parte sono anziani, tutti sono stranieri, quattro vanno verso gli ottant’anni. Ma, quando si è fragili, si capisce il valore, la preziosità di quel che si ha. Questi preti anziani per noi sono importantissimi, magari in Italia sarebbero considerati “da pensione”. Si tratta di un esempio, ma in generale quando si è piccoli si impara a essere ospitali, ad ascoltare, a confrontarsi con le altre persone. Si aprono delle porte, si vedono le cose da altri punti di vista, cresce l’importanza dell’altro.
Come, allora, coltivare fraternità e dialogo in un Paese quasi totalmente musulmano, che si affaccia sul Mediterraneo, mentre è in corso in Palestina un tragico conflitto?
Tutto dipende da come ci si relaziona con questa terra, da come ci si lascia coinvolgere dalla ricchezza dell’altro. Io non voglio rinunciare alle mie verità di fede, anche i musulmani restano nelle loro convinzioni. Ma è importante non cedere in luoghi comuni. In genere, i musulmani sono capaci di grande generosità, noi tendiamo a vedere la radicalizzazione, ma nella vita quotidiana conosciamo soprattutto persone di grande religiosità. E’ bello sapersi arricchire anche guardando a come vivono la loro fede. Pensiamo alla serietà con la quale vivono il digiuno durante il mese del Ramadan. E’ decisivo sentire che l’altro mi arricchisce. Anche la stessa situazione di Gaza e dei palestinesi, vista da qui, assume una tonalità diversa, si riesce a capire meglio il loro puto di vista.
Come manterrà il legame con la sua terra e con la sua Chiesa d’origine?
Sono padre del Pime, e al tempo stesso mi sento inviato dalla mia Chiesa. Ho ricevuto la mia fede a Sambughè, sono stato ordinato sacerdote dal Vescovo di Treviso. Al mio ingresso ho invitato esplicitamente solo una persona: mons. Michele Tomasi. Mi ha fatto molto piacere che abbia accettato, e che sia presente tra i co-consacranti, se riuscirà a ottenere il visto in tempi utili. Ad Algeri ho anche conosciuto e collaborato bene con le Discepole del Vangelo che vivono lì. Confido anche un mio sogno: che un giorno la diocesi di Treviso attivi una presenza fidei donum in Algeria, non necessariamente a Orano.
IL PROFILO
Nato a Treviso nel 1977 (è originario della parrocchia di Sambughè, nel Comune di Preganziol), Davide Carraro ha studiato Filosofia in Italia e Teologia nelle Filippine.
Ordinato presbitero del Pontificio istituto missioni estere (Pime) il 27 maggio 2006, fu inviato in Algeria nel 2007. Ha studiato per tre anni arabo classico in Egitto.
In attesa del visto per rientrare in Algeria, è stato per quattro anni in Costa d’Avorio. Nel 2017 è tornato nel deserto algerino, a Touggourt e ad Hassi Messaoud. Dal 2019 è ad Algeri, dove nel 2022 diviene vicario generale. Il 22 ottobre 2023 papa Francesco lo nomina vescovo di Orano. Sarà consacrato e prenderà possesso della diocesi il 27 gennaio 2023.