venerdì, 09 maggio 2025
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La primavera terribile dei vivaisti

Una primavera andata in fumo. Per i florovivaisti il coronavirus è stato come la tempesta Vaia per i boschi del Nordest: devastante. Sono migliaia infatti le piante che, rimaste invendute e sfiorite in negozio, sono state gettate. Questo nonostante un lavoro estenuante e continuo per non perdere tutto: il buco di quest’anno rimarrà nei bilanci.

Una primavera andata in fumo. Per i florovivaisti il coronavirus è stato come la tempesta Vaia per i boschi del Nordest: devastante. Sono migliaia infatti le piante che, rimaste invendute e sfiorite in negozio, sono state gettate. Questo nonostante un lavoro estenuante e continuo per non perdere tutto: il buco di quest’anno rimarrà nei bilanci.

“Noi da produttori di piante in primavera facciamo il 70% del nostro fatturato – ha spiegato Enrico Barbazza, responsabile del garden di San Lazzaro della Floricoltura Barbazza di Treviso  –, un 70% che non verrà mai recuperato. Abbiamo gettato migliaia di piante che non potevamo ricoltivare una volta sfiorite”.

Le serre Barbazza hanno chiuso il negozio l’11 marzo e fino al 16 aprile si sono dedicate solo alla consegna a domicilio. “In quel periodo le serre sono andate avanti a conduzione familiare, i ritmi di lavoro per preparare gli ordini e fare le consegne sono stati estenuanti. E’ stato ed è tuttora il peggior momento lavorativo mai vissuto. Lavoriamo ore su ore per rispondere alle richieste fatte al telefono e sul sito. Io sono sul furgone tutto il giorno, ormai lo sogno anche di notte”.

Ora il personale, con la riapertura al pubblico, è rientrato al lavoro: “Abbiamo aperto a San Lazzaro e la settimana dopo a San Pelajo, prima abbiamo disinfettato tutti gli ambienti e organizzato gli ingressi per evitare assembramenti. Naturalmente tutti i lavoratori hanno i dispositivi di protezione e mettiamo a disposizione dei clienti guanti e gel disinfettante. Arrivano tante persone che viste le belle giornate hanno voglia di piantare fiori o fare l’orto, inoltre continuiamo le consegne a domicilio per i residenti fuori Comune, ma ormai per alcune piante era troppo tardi, i danni economici sono fatti. Vedere i banchi interi di piante gettati, non era mai successo prima, è stato da mettersi le mani fra i capelli... e toccherà gettarne ancora! E’ successo tutto nel periodo peggiore, per dire, se avessimo chiuso a gennaio non avremmo avuto un disastro simile. Ora speriamo in degli aiuti economici, ma ci vorrebbero finanziamenti a fondo perduto, non altri debiti, per potersi rimettere in pari”.

In ogni caso Barbazza chiude con una nota di ottimismo: “Noi continuiamo a lavorare e a dare il massimo, vogliamo ripartire meglio di prima!”.

Se la riapertura è complicata e il danno economico ingente per le attività nei Comuni medio-grandi come Treviso, lo è ancora di più nei piccoli Comuni come San Zenone degli Ezzelini dove Floricoltura Zen non ha ancora riaperto al pubblico: “Siamo un’azienda a conduzione familiare – ha spiegato Riccardo Zen, figlio del titolare Giordano –, e almeno così non abbiamo dovuto lasciare dipendenti a casa. Tuttavia il danno è grosso; lavoriamo tutto il giorno in serra per accudire le piante, ma marzo, aprile e maggio sono i mesi in cui avremmo venduto i frutti del lavoro dei mesi scorsi, con tante spese già effettuate e altre ancora da sostenere senza incassi. Facciamo consegne a domicilio, ma questo non ripaga neanche minimamente del lavoro svolto. Aprire ai residenti del Comune comunque non compensa, perché il Comune è piccolo, lavoravamo tanto con i paesi del circondario, ma ora gli abitanti non possono raggiungerci; facevamo i mercati, ma per ora hanno riaperto solo per le necessità alimentari. Noi abbiamo già dovuto buttare quasi tutte le primule che avevamo piantato lo scorso settembre”.

Rimane una esile speranza per il mese di maggio: “Speriamo che si possa riaprire – ha concluso Zen –, ma il timore è che la gente non si fidi molto a uscire, l’auspicio è che sulla paura prevalga la voglia di abbellire le proprie case e i propri giardini, per salvare almeno una parte della produzione”.

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