Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
Non è la sagra: è una festa della comunità per ripartire insieme
Con la zona bianca si apre la possibilità di fare le sagre nelle parrocchie. Le uniche limitazioni rimaste sono il costante uso della mascherina, l’igienizzazione, il distanziamento, il divieto di assembramento e ovviamente l’applicazione delle Linee guida. Proprio perché seguirle è complicato, molte parrocchie si chiedono: sagra sì o sagra no?

Con la zona bianca si apre la possibilità di fare le sagre nelle parrocchie. Le uniche limitazioni rimaste sono il costante uso della mascherina, l’igienizzazione, il distanziamento, il divieto di assembramento e ovviamente l’applicazione delle Linee guida. Proprio perché seguirle è complicato, molte parrocchie si chiedono: sagra sì o sagra no? Nelle sagre delle nostre parrocchie c’è l’esplosione dell’assembramento. Si formano code dappertutto, in cassa, allo stand, per un biglietto alla pesca di beneficenza e piste da ballo incontenibili. In cucina c’è una calca pazzesca, i tavoli sono disposti normalmente vicinissimi per far stare più gente possibile, e spesso ci si deve alzare per poter far passare i camerieri con i vassoi.
Rivedere l’organizzazione
Tutto questo oggi è improponibile, ecco che dobbiamo rivedere l’organizzazione. Questo non significa che non si possano fare, bisogna organizzarle in sicurezza, posti limitati e distanziati, menù rivisto e contenuto.
Certo che si deve essere chiari nel messaggio che passa. Chi viene in sagra deve sapere cosa trova, per non creare ingiustificate aspettative.
Non è la sagra
Parafrasando un nota trasmissione, diciamo che “non è la sagra” come l’abbiamo sempre vista. Ma si può fare, ed è giusto farla. Dobbiamo pensare a una festa di paese, per ritrovarci, per riconoscerci, per dire che ci siamo. Un modo anche per ritornare ai “fondamentali” che hanno fatto nascere le sagre paesane e parrocchiali. Riscoprire il valore della comunità, del ritrovarsi, dello stare insieme anche nel distanziamento. Riscoprire anche il vero significato religioso dell’appuntamento, le vere ragioni “cristiane”. Tutto questo le nostre sagre pian piano forse l’hanno perso per strada, trasformandosi in veri festival.
Una proposta concreta
Si accede all’area sagra solo con mascherina che può essere tolta solo quando ci si siede al tavolo per mangiare. L’ingresso sarà a numero chiuso, definito in base alle disposizioni del piano di sicurezza che dovrà essere steso da un professionista. All’entrata verrà misurata la temperatura e saranno registrate le persone. Da una parte si entra, da un’altra si esce.
Dovrà essere data la possibilità di prenotare ed è opportuno potenziare l’asporto. E’ consigliato disporre i tavoli principalmente all’aperto, limitando i posti sotto gli stand.
Evitare l’intrattenimento musicale, costoso, crea assembramento, e poi il ballo è vietato. Ridurre drasticamente il menù, magari con il classico e antico “poenta e ossetti”. Meno si utilizza la cucina meglio è. Ideale menù fisso a base di carne alla griglia. Dotare la cassa di pos, meno contante gira meglio è. No alla pesca di beneficenza, ma si può tranquillamente organizzare una lotteria.
Tutti i volontari andranno formati e dovranno avere il “green pass”, quindi, vaccino o aver avuto il Covid. Per tutti gli altri, tamponi validi 48 ore. C’è da individuare un responsabile Covid, figura importantissima e strategica. Ci deve essere un registro con tutti i volontari che parteciperanno sera per sera.
Forse è un po’ complicato, ma si può fare. Anche nei manifesti e dépliant è bene essere, però chiari, specificando come si svolgerà.
E’ la festa della comunità, di un paese che vuole riparte, cioè “non è la sagra”.