venerdì, 09 maggio 2025
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Siccità alle porte in tutto il Veneto

Non piove da mesi: scenari preoccupanti per agricoltura e ambiente

E se a febbraio non piovesse? Ogni anno, nel pieno dell’inverno, ci ritroviamo con la siccità alle porte. Piave, Marzenego, Muson si seccano; città d’acque come Treviso, Castelfranco e Camposampiero rischiano di trasformarsi in scolmatori a cielo aperto e il marrone dei mattoni delle mura di rispecchiarsi non in acque limpide, ma in rigagnoli.
Qualche settimana con il cuore in gola, soprattutto per gli agricoltori, che rischiano coltivazioni preziose come quella dell’asparago e le primizie orticole: ma poi tutto si sistema con le piogge, a volte torrenziali, tra febbraio e inizio primavera.

E se non succedesse? Abbiamo pronti invasi pieni d’acqua, laghi da scaricare a valle, pozzi in falde belle cariche? Purtroppo no. I dati di quest’anno, giunti il 31 gennaio dall’Arpav, Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione ambientale del Veneto, contenuti nel rapporto sulla risorsa idrica nel Veneto, sono “da cuore in gola”.
Da dicembre la temperatura è sempre stata sopra la media, +1,2°C. Piogge a gennaio praticamente inesistenti, la metà rispetto alla media annuale tra il 1994 e il 2021. Sono caduti 28,2 mm di acqua, contro una media 59,2 mm. Nel 2000 era andata peggio, 2,3 mm, e nel 2005 9 mm, più recentemente erano stati siccitosi i mesi di gennaio 2017, 2019, 2020. A Cortina, che nel 2026 ospiterà le Olimpiadi, solo 6 mm di precipitazioni. Considerato tutto questo a febbraio dovrebbero cadere 180 mm di pioggia, il triplo della media storica, 61 mm, per recuperare.

La neve caduta in dicembre ha salvato la stagione sciistica, ma ora siamo proprio al lumicino, in media mancano 85 cm sulla Dolomiti e 75 nelle Prealpi: nell’ultimo decennio abbiamo avuto quattro mesi sotto i valori normali di innevamento, e oggi per trovare la neve bisogna salire a 1.650 metri di quota. Arriviamo al dato più preoccupante: le riserve di neve del Piave sono 110-120 Mmc (milioni di metri cubi), contro una media di 250-300 Mmc. Nel bacino del Cordevole solo 60-65 Mmc e in quello del Brenta 55-60.
In crisi i principali serbatoi del Piave: si deve ricordare che i laghi montani vengono in parte svuotati prima dell’inverno, per ragioni di sicurezza, sperando nel riempimento con le piogge. Oggi, invece, abbiamo solo il 49 per cento dell’acqua invasabile, il volume più basso degli ultimi 10 anni. Il serbatoio del Corlo, che ricarica il Brenta, è al 35 per cento dell’acqua invasabile.

Se pensiamo alle falde, la situazione è ancora peggiore. Verona e Vicenza hanno le falde ridotte a circa la metà della media. L’alta pianura trevigiana soffre: -36 cm a Varago, -15 a Castagnole, a Castelfranco la falda è ridotta del 70 per cento, meglio nella bassa pianura: a Cimadolmo la falda è stabile, come pure a Eraclea.
Quel che arriva nei fiumi, allora, non può che essere poco. Dal primo ottobre siamo sotto la media storica: -25 per cento sul Boite; -27 sul Piave; - 32 sul Cordevole - 39 sull’Astico. A fine gennaio “tutti i fiumi veneti sono decisamente inferiori alle medie storiche su tutti i principali corsi d’acqua”, dice il rapporto Arpav. Dobbiamo dunque prepararci con le taniche e le cisterne per bere acqua in primavera? No di certo, l’acqua potabile viene prelevata da bacini piuttosto stabili, non così per l’acqua di fiumi e condotte di irrigazione. Pesanti potrebbero essere le conseguenze sulla flora e la fauna dei fiumi e dei canali, e l’agricoltura potrebbe risentirne pesantemente, un’ulteriore problema, dopo l’aumento dei costi energetici.

In questo contesto si inserisce la questione dell’applicazione del “deflusso ecologico”, ovvero quanto deve rimanere nei fiumi al netto dei prelievi irrigui e per la produzione di energia elettrica. Questo livello sarebbe superiore di tre volte all’attuale deflusso minimo vitale garantito e applicato, ad esempio, dal Consorzio Bonifica Piave. Oggi a Pederobba si misurano 6,5 mc al secondo, superiore di soli 0,2 mc al deflusso minimo vitale; se si applicasse il “deflusso ecologico”, un valore tre volte superiore, bisognerebbe chiudere tutte le derivazioni irrigue. L’applicazione di questa normativa europea in Veneto è stata diluita nel quadriennio 2022-25, ma l’obiettivo dovrà essere raggiunto. Intervenire è urgente, ma casse di laminazione, cave trasformate in catini per conservare l’acqua, nuovi pozzi, non si improvvisano. Passare all’irrigazione a pioggia o addirittura a”goccia” necessita di finanziamenti che sfiorano il miliardo di euro nel Veneto. Il tempo vola e la pioggia non cade.

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