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Un nuovo studio, dedicato a Giuseppe Corazzin, verrà dato alle stampe nelle prossime settimane. Probabilmente, entro l’anno, potremo sfogliare l’imponente biografia “Giuseppe Corazzin, una vita per il sindacalismo bianco”, voluta dalla Cisl e curata da Agrilavoro edizioni, scritta dallo storico Mauro Pitteri, al quale abbiamo chiesto di darci qualche anticipazione.
L’autore fa una premessa: “Difficile poter fare una ricerca storica senza fonti dirette, senza un archivio. Purtroppo, l’archivio di Corazzin è stato distrutto, disponiamo solo di alcuni studi, a partire dalla tesi di laurea di don Pietro Mozzato; poi, c’è la biografia di Daniele Ceschin; quindi, una miriade di articoli”.
A partire dal materiale esistente, Pitteri sottolinea alcuni aspetti particolarmente importanti che emergono dalla vita e dalle tante azioni di Corazzin: “In primo luogo, va detto che egli fu un uomo d’azione, legato all’intransigentismo cattolico, che ebbe, soprattutto, un grande merito, quello di prendere sul serio la Rerum Novarum. Supera la stagione del «paternalismo» cattolico, e lo fa sulla base della Dottrina sociale della Chiesa, che vuole applicare davvero. Il suo essere «pioniere» del sindacalismo cattolico parte da qui”.
In secondo luogo, lo storico sottolinea la dimensione “nazionale” di Bepi Corazzin, che fu tutt’altro che una figura soltanto trevigiana, pur restando molto radicato nel suo contesto locale. Merita di essere sottolineata, in questo senso, la sua esperienza milanese, accanto ai profughi, durante la Prima guerra mondiale. “Dopo essere stato ferito e congedato, ebbe incarico di seguire i profughi trevigiani, e lo face da Milano. Qui, il cardinale Andrea Carlo Ferrari lo mise a dirigere il locale ufficio del Lavoro. Venne a contatto con importanti sindacalisti, come Achille Grandi e Giambattista Valente. Seguì le lotte agrarie nelle tenute della Brianza. Si avvicinò anche all’esperienza delle lotte operaie, nei laboratori tessili, ad alta presenza di manodopera femminile. Fu tra gli attivi promotori della Confederazione italiana dei lavoratori, la Cil, lavorando al fianco di Valente, Grandi, Giovanni Gronchi, il futuro presidente della Repubblica. Fu dentro alla federazione dei mezzadri, andava spesso a Roma, conobbe direttamente don Luigi Sturzo.
In terzo luogo, va evidenziata la sua generosità: “Faceva un sacco di cose, diresse perfino una cantina nel Modenese, fondò la casa del soldato, un’associazione di reduci e combattenti dopo la guerra... ebbe ruoli istituzionali, avendo sempre, come stella polare, la difesa dei più deboli”.
Tutti questi aspetti emergono nell’ampia opera di Pitteri, che ripercorre, anzitutto, l’impegno sindacale di Corazzin, a partire dalla fondazione delle leghe bianche, a Cittadella, nel 1910. Fu, senza dubbio, un “pioniere” e, al tempo stesso, un “sindacalista integrale”, nel senso che lottava per i diritti dei contadini, ma promuoveva la loro formazione, anche attraverso le «notarelle d’agricoltura» pubblicate sulla Vita del popolo, una sorta di «tutorial», per usare il linguaggio contemporaneo. E si interessava anche ai miglioramenti «morali» dei lavoratori dei campi, aveva a cuore la loro fede”. Dentro a questa prospettiva, va visto l’impegno giornalistico nel giornale diocesano, che fu assiduo prima della guerra e anche dopo il suo ferimento, tra il 1916 e il 1917, al di là del ruolo ricoperto in redazione.
La prospettiva di fondo, fa notare Pitteri, era quella di “vincere la concorrenza socialista, eliminando i fattori che potevano portare alla lotta di classe. Il primo obiettivo era la collaborazione tra i vari soggetti, tra capitale e lavoro. Il conflitto, lo sciopero, erano l’«extrema ratio»”.
Dopo la guerra, “cambia la presa di coscienza dei contadini, e le lotte del 1920, vissute a Treviso, ebbero rilievo nazionale. Spesso, viene citato l’esempio di Guido Miglioli, nella pianura cremonese, ma quanto accadde nella Marca non fu meno importante. Infatti, la Cil convocò a Roma sia Miglioli che Corazzin”. Miglioli, più volte citato da Antonio Gramsci nei Quaderni del carcere, in seguito, si spostò a sinistra, prese altre strade.
Corazzin, invece, rimase pienamente nell’alveo del movimento cattolico: “Il vescovo Longhin, anch’egli preoccupato che i contadini non cadessero «in mano ai socialisti», lo coprì, anche quando ci furono degli episodi controversi, come l’incendio di villa Marcello, a Badoere. Corazzin mise in evidenza che a Treviso c’erano stati «meno morti» che nel resto d’Italia, seppe ribaltare le accuse su agrari e fascisti”.
L’ultima parte della sua vita è segnata dalla violenza fascista, contrastata attraverso “L’Idea”, giornale da lui fondato, fino al pestaggio subito nell’ottobre 1924. “Del resto, Corazzin, nella sua vita, è stato «pestato» da socialisti, repubblicani e fascisti”.
Sarebbe, tuttavia, improprio, fa notare l’autore, parlare di un “Matteotti cattolico”: “La sua morte fu dovuta a un’appendicite mal curata, che sfociò in una peritonite. Non fu una conseguenza del pestaggio subito”.