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Dedicazione della Basilica Lateranense. Il corpo di Gesù e il nostro: luogo d’incontro

Le nostre chiese di pietre, segno di convocazione tra credenti

Il brano dal Vangelo secondo Giovanni, scelto per la festa della consacrazione della cattedrale del vescovo di Roma (“dedicazione” della basilica del Laterano), rilegge il senso dell’intera vicenda di Gesù. Egli compie un “gesto profetico”: caccia dal tempio tutto ciò che “contaminava” il culto, con una forma di commercio che prosperava attorno alle pratiche rituali.

Il senso dei gesti di Gesù

Ma la “novità” di questo gesto va oltre la polemica profetica contro il culto offerto con cuore non convertito alla giustizia e alla rettitudine (Ger 7,1-11). Questo episodio al tempio, che gli altri Vangeli collocano nei giorni precedenti la condanna a morte (Mc 11,15-18), il quarto vangelo lo “anticipa” all’inizio del percorso pubblico di Gesù, subito dopo il banchetto di nozze a Cana. È una scelta che vuol dare a chi ascolta il senso intero della storia di Gesù: è venuto ad annunciare l’incontro nuziale sovrabbondante di festa tra Dio e l’umanità (Gv 2,1-11) e lo scandaloso cammino per giungere a tale incontro di gioia: la croce (Gv 2,13-22). Innanzitutto, nel brano è precisato che quel tempio è “la casa” del “Padre mio”, espressione per la prima volta sulla bocca di Gesù (in Giovanni ritornerà altre 23 volte), che lo qualifica di conseguenza come “il Figlio” di quel Padre. Una “casa” di cui lui si assume la responsabilità, a costo della vita: l’espressione “Lo zelo per la tua casa mi divorerà” riprende il salmo 69, proposto spesso per comprendere il senso delle sofferenze di Gesù (vedi Gv 15,25; Mc 15,36; Rm 15,3).

Oltre il rito, oltre il culto?

Ma il «segno» che lui offrirà per motivare il suo intervento al tempio sarà sconvolgente: il senso di quel luogo sacro si compirà nel risorgere di Gesù dalla distruzione della morte (Gv 2,19). Il luogo sacro per l’incontro pieno e definitivo con Dio è/sarà il “suo corpo” morto e risorto (2,22). Questo elimina, quindi, ogni ritualità, ogni culto, ogni liturgia? Direi proprio di no: il quarto Vangelo continua a ricordarci piuttosto la necessità fondamentale della condizione umana, collocata nel corpo, al quale è legata indissolubilmente la presenza della persona intera, ovvero la necessità di prendere sul serio il corpo stesso. Questo è il nostro modo di esserci, per noi, per gli altri e per il mondo: è il modo che Dio ha scelto per farci stare di fronte, e insieme, a lui. Ed è infatti “per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo” che “siamo stati santificati”: Eb 5,11-22 ci annuncia come sia il suo esserci corporeo, concreto e quotidiano, a farci entrare in comunione con Dio. E il corpo che siamo ha bisogno di ritualità: di gesti simbolici condivisi che dicano la relazione tra noi e Dio. Ben conoscendo questa necessità, Gesù ci offre la ritualità dell’Eucaristia, dal cuore della Pasqua, per sentirci passo passo rinfrancati nella comunione con lui, resi di nuovo capaci di incontrarlo nei nostri fratelli e sorelle.

La via sacra del “corpo intero”

L’episodio narrato in Gv 2,13-22 ci riporta, quindi, al centro del mistero di Gesù e della via da lui apertaci nel rapporto con Dio, suo e nostro Padre (Gv 20,17). Una via che si inoltra nella nostra quotidianità, nella vita di noi, “corpo intero”, impastato di “spirito” e “carne”, intessuto di relazioni che lo fanno vivere, con se stesso, il mondo, gli altri, con Dio. Passi che vengono continuamente sostenuti e nutriti dal corpo di Gesù, pane e vino ogni volta donati a noi nel rito della celebrazione dell’Eucaristia. Una celebrazione che ci convoca tutti e tutte, che ci fa Chiesa, “assemblea di convocati da lui”. Allora le nostre chiese di pietre si fanno a loro volta “luoghi del Sacro”, perché luoghi dell’incontro di una fraternità di chiamati con il suo Signore morto e risorto.

Luoghi sacri di incontro

La festa di questa domenica, quindi, è annuncio grande per le nostre comunità: abbiamo la responsabilità di viverle come occasione di “incontro fra corpi” con tutte le necessità che questi manifestano, nel loro desiderio inesausto di vita che ha origine in Dio. Corpi che chiamano relazioni che ci fanno vivere, che hanno bisogno di luoghi nei quali incontrarci, fra noi e con Dio, anche attraverso riti che ci vengono donati, in cui lui stesso si impegna a rendere più evidente ed esigente la sua presenza, il suo volto. Le nostre chiese-di-pietre chiedono, così, di farsi sempre più segno di convocazione tra credenti, in semplicità di tratti, in bellezza discreta ed evocatrice, in luminosità di luce e di accoglienza reciproca. Per rendere possibile, in modo sempre più efficace, la celebrazione che ci nutre il cuore e la vita, che ci trasforma in corpo suo, del Signore continuamente crocifisso e risorto. Corpo che agisce nel quotidiano prendersi cura di altri corpi, altre persone, altre vite...

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