Il Governo Netanyahu
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Anche sul Massiccio del Grappa, da Pieve, a Mussolente, a Fonte e San Zenone fino ad Asolo, si è celebrata la festa del 4 novembre, giorno della fine della Prima guerra mondiale, ma anche dell’orrenda e forse inutile strage consumata, a fine ottobre 1918, su quella montagna. Le piazze e i monumenti ai caduti si sono popolati di bandiere italiane e di bambini delle scuole, per festeggiare quella che oggi definiamo: Giornata dell’unità nazionale e delle Forze armate. “Un tempo il 4 novembre era la festa delle Forze armate, essendo l’unica autentica vittoria dell’esercito italiano nella storia - spiega il professor Paolo Pozzato, storico militare, bassanese, componente dell’Accademia Olimpica e dell’Istrevi di Vicenza -. La scelta di dedicarla all’unità nazionale ha la sua motivazione: nelle trincee, soldati provenienti da ogni parte d’Italia, si conobbero e si strinsero per combattere il nemico. Sul Grappa, ad esempio, troviamo soldati della Calabria, della Sicilia e della Campania”.
La IV Armata del Grappa, dal 24 al 31 ottobre, ebbe le perdite nettamente più alte (25 mila uomini fuori combattimento), il 75 per cento della battaglia di Vittorio Veneto, scontro che determinò la rotta degli austro-ungarici e la firma dell’armistizio.
“I vertici militari erano convinti che la guerra si sarebbe decisa l’anno successivo, nel 1919, quando la leva dei giovani nati nel 1900 sarebbe stata pronta, così come le nuove armi. Non avevano, però, fatto i conti con l’improvviso sfondamento dei francesi in Bulgaria e con la previsione di una rapida caduta dell’Impero austro-ungarico. Il primo ministro Orlando e il ministro degli esteri Sonnino ordinarono a Diaz, comandante dell’esercito, di non esitare e di attaccare, per potersi sedere al tavolo della pace da vincitori e non con «le armi ai piedi»”.
Si pensò di attaccare con una brigata mista italo-inglese sulle Grave di Papadopoli, sul Piave, per poi avanzare in forze da Vidor, verso il Montello e Vittorio Veneto, così da tagliare le truppe austro-ungariche della valle da quelle di montagna. Come noto, il Piave era gonfio e non permise di gettare i ponti: si scelse, quindi, di attaccare sul Grappa, un attacco difficilissimo perché gli austriaci avevano robusti capisaldi.
“Un cambio di strategia che ricadde sulle spalle del generale Giardino, che comandava la IV Armata, schierata sul Grappa. Mandò i suoi reparti contro gli avamposti austriaci, nei giorni tra il 24 e il 31 ottobre. Il fuoco fu feroce, tranne una breve pausa il 27 ottobre. Fino a che gli austriaci lasciarono gli avamposti a causa di quello che stava accadendo in patria: il dissolvimento dell’Impero austro-ungarico. Sul Piave, intanto, si poté passare e la cavalleria, i bersaglieri e l’aviazione inseguirono gli austro-ungarici, dal Piave fino a Vittorio Veneto, primo esempio di guerra lampo”.
“Il risultato finale fu che sul Grappa ci furono gravissime perdite dei militari italiani. Un sacrificio voluto dal governo Orlando. Una battaglia che l’esercito fu costretto a combattere”. Dopo quella battaglia, le truppe del Grappa puntarono verso il Brennero, poiché la Germania non aveva ancora capitolato, mentre l’influenza “spagnola” continuava a mietere vittime su entrambi i fronti. Trecentomila furono i prigionieri austriaci, moltissimi morirono. “L’Italia si distinse nell’accoglienza dei bambini austriaci orfani o con difficoltà familiari: furono accolti insieme ai loro maestri tedeschi per poter continuare la scuola, un gesto che solo l’Italia compì tra i Paesi vincitori della Prima guerra mondiale”.