La settimana scorsa abbiamo pubblicato una presentazione della lettera apostolica di papa Leone sull’educazione:...
Ucraina: ore di speranza e preghiera
“Non possiamo continuare a guardare passivamente come prosegue la guerra, la quale sempre comporta con sé un continuo crescendo, «una spirale di lutto e violenza» (san Giovanni Paolo II, 1991). In questo senso, guardo con speranza a ogni sforzo per la pace”. Lo ha detto al Sir il nunzio apostolico di Kyiv, mons. Visvaldas Kulbokas, a commento delle trattative di pace che in questi giorni stanno impegnando le diplomazie ucraine, Usa e europee. Il nunzio si trova con tutto l’episcopato cattolico, greco e latino dell’Ucraina in esercizi spirituali e assicura: “Accompagniamo le trattative con la preghiera”.
“Se queste trattative porteranno a qualche risultato? Vedremo - aggiunge il nunzio -. Ma, affinché si arrivi a questo tipo di discorso serio, certamente serve per lo meno un cessate il fuoco, per lo meno una pausa per dare possibilità a tutti di riflettere. In questo senso, anche una qualche soluzione imperfetta ha un senso, anzi un grande senso”.
Il nunzio, poi, osserva: “Dal punto di vista morale, io continuo a ritenere che nella posizione più grave - agli occhi di Dio - si trovi la Russia. Un problema è come aiutare la Russia, il suo Governo, a comprendere la gravità del male che sta compiendo. Con belle parole? Non credo. Difficile riparare gli errori se l’umanità continuerà ad applaudirti, inchinarsi a te. Nei Vangeli, quando Dio cerca di salvare chi è perduto, gli dice la verità agli occhi, invitandolo alla conversione. Ma fa tutto ciò nel contesto della misericordia: «Va in pace e non peccare più»”.
Era presente anche il Movimento europeo di azione nonviolenta (Mean) mercoledì scorso, all’udienza generale in piazza San Pietro, reduce da un Giubileo della speranza in Ucraina vissuto a Kyiv e a Kharkiv agli inizi di ottobre, al quale hanno aderito movimenti e associazioni nonché sindaci e rappresentanti della società civile e politica italiana. Il Papa ha potuto salutare una piccola delegazione del Mean, con esponenti della società civile ucraina. “È fondamentale dimostrare la nostra vicinanza agli ucraini”, dice Angelo Moretti, co-portavoce del Mean, facendo riferimento alle trattative di pace in corso. “Come ha detto Zelensky, il Paese è vicino a un sacrificio, di cui non si conosce ancora la portata, ma è chiaro che dovranno decidere come arrivare a un cessate il fuoco. Questo significherà sacrificare qualcosa in modo ingiusto e ingiustificato, ma necessario per un bene superiore. Noi, fratelli degli ucraini, non possiamo restare spettatori: dobbiamo essere vicini. Anche se dovesse prevalere una pace ingiusta, ma necessaria per fermare il fuoco, essa non dovrebbe diventare un precedente né una scusa per dire che la resistenza ucraina non andava fatta. L’Ucraina è dalla parte giusta della storia. Non abbandoneremo il popolo ucraino”.
Nonostante gli sforzi diplomatici, “i dati oggettivi ci dicono che stiamo assistendo, dal 5 ottobre in poi, a un aumento degli attacchi contro i civili - osserva Moretti -. Non si tratta più soltanto di bombardamenti sulle linee del fronte, ma di attacchi deliberati su zone anche lontane dai confini orientali e sulla popolazione civile”. “L’Europa - aggiunge - sta dimostrando una sua presenza politica, impegnandosi a non abbandonare l’Ucraina a trattative condotte senza di essa. Sta spingendo affinché ci sia un piano europeo di pace, non solo americano, e soprattutto un piano ucraino di pace, perché le vittime devono essere ascoltate”.
Il Mean ha anche presentato la richiesta all’Unione europea di istituire i corpi civili di pace, come strumento di rigenerazione sociale delle zone più colpite dall’aggressione russa. “Ora più che mai - spiega Moretti - è il momento di rilanciarli. Se davvero si arriverà a una tregua, essa dovrà essere presidiata lungo i duemila chilometri di fronte, per evitare vendette trasversali e la mancanza di controllo da parte delle autorità locali. I corpi civili di pace dovranno essere pronti a intervenire: nel dialogo tra le popolazioni, nell’ascolto attivo, nella creazione di commissioni di verità e riconciliazione. La tregua, di per sé, può essere un momento molto pericoloso per chi la vive. Lo abbiamo visto a Gaza: nei primi giorni di tregua si sono verificate vendette immediate. Durante una guerra è facile che emergano accuse reciproche di collaborazionismo. Per evitare tutto questo, dobbiamo intervenire come europei, non solo con la diplomazia dall’alto, ma anche con quella dal basso”.



