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Celebrate a Vedelago le esequie di don Gino Perin
Moltissime persone e numerosi sacerdoti hanno preso parte, mercoledì 11 settembre, al funerale di don Gino Perin, presieduto dal vescovo Michele nella chiesa di Vedelago. Mons. Tomasi, nell’omelia, ha ricordato il passaggio della lettera di S. Paolo ai Romani (citata da don Gino nel suo saluto a San Donà), in cui l’Apostolo invita all’amore fraterno e alla stima reciproca. Don Gino sollecitava a stimarsi a vicenda per onorare tutte le diversità, di persone, famiglie, associazioni, istituzioni, preziose per costruire una vita fraterna e una comunità “plasmata sul respiro del Vangelo di Cristo”. E, leggendo alcuni passaggi del suo testamento spirituale, il Vescovo ha ricordato la duplice fedeltà di don Gino, “alla vita, concreta, pulsante, degli uomini e delle donne del suo tempo, e – nella loro compagnia – fedeltà alla sua vocazione pastorale: il suo essere prete è stato sempre vissuto nel segno dell’ascolto della Parola di Dio e nello scrutare i segni dei tempi, cuore di ogni pastorale”.
“Assieme alla Parola e ai Sacramenti, ecco la grande luce sul cammino di don Gino: il Concilio Vaticano II, i suoi testi, il clima ecclesiale che ha permesso numerose intuizioni e scelte, di fede e di vita, come quella della vita fraterna assieme a don Franco Marton e a don Lino Pellizzari. Una fraternità accolta come dono, ma perseguita come compito, con l’aiuto della grazia. Mi sembra un lascito forte e significativo, prezioso e stimolante per la vita del presbiterio, di noi preti chiamati a testimoniare nei fatti l’unione tra noi in Cristo, realizzata - dono gratuito, ma compito quotidiano - nel sacramento dell’Ordine. In un tempo di montante sfiducia e di individualismo, potrebbe diventare profezia”. Ancora, nel testamento, don Gino affidava al Signore “i fratelli cristiani dell’Immacolata, di Fontane e di S. Donà che mi hanno sostenuto nella fede e nella speranza”. Il Vescovo, poi, ha ricordato la sua raccomandazione a uno stile di vita sobrio: “Sobrietà che era cifra e segno del suo modo di pensare e di agire. Sobrietà nelle scelte personali e comunitarie, nello sguardo sulla realtà, allenato dalla competenza sociologica messa a servizio di una considerazione realistica della vita sociale ed ecclesiale. Anche quella «sobrietà sapienziale» che augurava a sé e ai confratelli più anziani nella fase della vita successiva all’abbandono delle responsabilità pastorali dirette”, ha evidenziato mons. Tomasi, che ha concluso leggendo uno scritto che don Gino compose in occasione della propria ordinazione.