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Don Riccardo De Biasi sarà inviato come missionario in Ciad

Alla vigilia della celebrazione di sabato 21 maggio nel tempio di San Francesco a Treviso, il sacerdote racconta come si sta preparando alla partenza come fidei donum. E spiega: “Partire per la missione non è andare a fare qualcosa”, ma aderire all’appello “che il Signore ci ha lasciato il mattino di Pasqua”

In queste settimane molte persone mi stanno chiedendo che cosa provo, cosa sento, se sono pronto. A quest’ultima domanda rispondo immediatamente: “No!”. Risposta classica si potrebbe pensare, che viene detta per non sbilanciarsi troppo o non dire troppo di sé. Eppure è la risposta più vera e sincera, perché, per quanto uno si prepari, non saprà mai a cosa andrà incontro. Dietro questa risposta c’è anche libertà, nel senso che in questo momento non ho aspettative, non sto pensando: “Adesso andrò in Africa e farò questo e quello, o agirò in questo modo piuttosto che in quest’altro”.

Penso che partire per la missione in un altro Paese sia proprio tenere il cuore e la mente aperti e lasciarsi sorprendere da ciò che ci si troverà di fronte. Forse è anche questo il grande mistero dell’incarnazione: quel Dio venuto sulla terra che si è fatto uomo e forse si è sorpreso dell’umanità che ha creato. Credo quindi che partire per la missione non sia andare a fare qualcosa ed essere pronti per farla, per me in questo momento è cercare di rispondere a quell’appello che il Signore ci ha lasciato il mattino di Pasqua: “Vai ad annunciare ai miei fratelli…”. Partire per la missione non è di certo un atto eroico, non è diventare un “super prete”, ma un tentativo, a volte maldestro, dati i miei limiti, di rispondere appunto a questa chiamata. Una chiamata ad annunciare il Vangelo che non ha e non può avere confini, così come la Chiesa non può avere confini.

Detto questo, da gennaio mi sono “preparato” a partire per il Ciad apprendendo il francese e ho avuto il dono di passare la settimana di Pasqua a Marsiglia, con la comunità delle Discepole del Vangelo che vive lì. Sono stati mesi preziosi e ricchi di incontri, scambi, confronti, non mi basterebbe probabilmente tutto il giornale per riportare ogni cosa, ma tra i tanti incontri c’è stato un augurio che mi ha colpito. A Marsiglia, affiancando sorella Anna nel suo servizio in ospedale, un paziente mi ha detto: “Ti auguro di ritornare cresciuto dalla missione”. Questa più o meno la traduzione letterale di ciò che questa persona mi ha detto. Mi ha colpito perché ancora una volta il Signore mi ricorda che non sono io che vado a salvare il mondo, ma che anche in questo modo lui cerca di salvarmi, cerca di ricordarmi e di farmi capire che è Lui per primo a volermi bene. Ancora una volta il Signore mi dice tutte queste cose nei modi più semplici, negli incontri, nel dialogo e nell’ascolto. Concludo citando alcune parole di san Paolo che mi sto portando dietro da qualche tempo: “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe” (1 Cor 13,1-13)

Parole, queste di san Paolo, che sto riprendendo in mano, perché in un mondo e in una Chiesa che a volte, nel bene e nel male, ci chiedono sempre più preparazione e competenza, come cristiani non possiamo dimenticare che ciò che conta è annunciare che il Signore è risorto, che il Signore è quella carità, quell’amore tanto difficile da vivere quanto affascinante. Non so cosa troverò in Ciad, non so cosa aspettarmi, ma spero solo che in questa “terra della vita”, come la chiama un mio amico prete, io possa incontrare il Signore nel volto di questi fratelli e sorelle.

La celebrazione a San Francesco
Sabato 21 maggio, nel tempio di San Francesco, a Treviso, nell’ambito della Veglia vocazionale diocesana, con inizio alle 20.30, si tiene l’invio missionario di don Riccardo De Biasi, che partirà nelle prossime settimane per il Ciad, come sacerdote fidei donum nella diocesi di Pala. La celebrazione è presieduta dal vescovo Michele.

La diocesi di Treviso è presente dal 1991 nella missione di Fianga, appartenente alla diocesi di Pala, che copre iuna vasta superficie di 30.105 kmq: in questo territorio, suddiviso in 31 parrocchie, vivono circa 1 milione e 100 mila persone appartenenti a diverse etnie.

La località di Fianga dista 70 km da Pala e 15 Km dalla frontiera con il Camerun. L’area etnico-culturale cui appartiene la popolazione è quella tupurì, la stessa del nord Camerun.

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